Avvocata protagonista della Rivoluzione tunisina, l’ex parlamentare Bochra Bel Haj Hamida è accusata dal presidente Kais Saied di appartenere a «organizzazioni terroristiche colluse con potenze straniere». La sua vicenda è solo un sintomo di un Paese in grave crisi.
È stata considerata per una decina d’anni l’unico successo tra le Primavere arabe. Oggi l’immagine simbolo della crisi economica e politica della Tunisia, con la cancellazione in atto da tempo delle conquiste della rivoluzione del 2011, sono i sit-in in corso a Tunisi e quelli in particolare delle attiviste dell’Associazione tunisina per le donne democratiche (Atfd). «Solidarietà con la militante Bochra» invocano le compagne, dopo che l’avvocatessa 65enne fondatrice e presidente emerito di Atfd, una delle maggiori organizzazioni femministe del Paese, è stata inserita dal presidente tunisino Kais Saied nella lista nera di «esponenti di organizzazioni terroristiche che collaborano con paesi stranieri» ed ora rischia l’arresto.
Combattente per i diritti delle donne
Chi è Bochra (o Bushra) Bel Haj Hamida? Originaria di Zaghouan, avvocata dal 1981, ha fondato nel 1989 insieme ad altre donne l’Atfd che ha presieduto dal 1994 al 1998. Dal 1992 giurista accreditata presso la Corte di Cassazione, ha difeso donne vittime di violenza e promosso i diritti umani in Tunisia sin dai tempi del presidente Habib Bourghiba e poi dal 1987 sotto il successore Zine El-Abidine Ben Ali. Tra le protagoniste della Rivoluzione dei gelsomini, è stata eletta in parlamento con una lista civica nelle seconde libere elezioni del 2014 e per cinque anni ha presieduto la Commissione parlamentare sulle Libertà individuali e l’uguaglianza. Sotto la presidenza di Beji Caid Essebsi ha portato avanti una legge contro la violenza sulle donne e per la parità di diritti nelle eredità. Dopo aver lasciato la politica nel 2019, ha continuato con la cittadinanza attiva a battersi per i diritti umani e per il principio di uguaglianza di genere nella Costituzione tunisina.
Lo scorso agosto ha difeso i magistrati in sciopero della fame per esser stati esautorati dal presidente Said. Due mesi fa ha definito «senza precedenti» la situazione dei giornalisti. Ma Bel Haj Hamida è molto popolare soprattutto per aver sfidato il ministero dell’Interno nel 2012, quando ha difeso – facendo condannare gli stupratori – una donna violentata da due agenti di polizia: un crimine endemico in Tunisia e che ha riguardato migliaia di donne nel biennio convulso che ha fatto seguito al crollo del regime di Ben Ali.
Centro Nazra: «Un attacco ai movimenti civili in Nord Africa»
Ecco perché colpire questa giurista assai stimata, rimarca dal Cairo la direttrice del Centro Nazra per gli studi femministi Mozn Hassan, è colpire tutti coloro che dopo le primavere arabe si stanno battendo per l’uguaglianza di genere e lo Stato di diritto in Nord Africa e Medio Oriente.
«Mettere nel mirino Bouchra – afferma la giurista egiziana – vuol dire puntare l’indice contro i movimenti democratici e per i diritti delle donne nella nostra regione. Lei e i suoi colleghi hanno impartito lezioni e trasmesso esperienze ai nostri attivisti sulle lotte fondamentali e sulle politiche del femminismo intersezionale. Quello che la Tunisia sta subendo oggi è un attacco diretto a tutti i nostri movimenti civili, mirato a spostare le lancette all’indietro su ciò che abbiamo conquistato con le rivoluzioni. Il Centro Nazra lancia una campagna su vasta scala in difesa di Bouchra e degli altri attivisti, per non far arretrare le conquiste dei cittadini tunisini. Chiediamo di unire le forze per respingere le accuse contro Bouchra e i dissidenti imprigionati per le loro posizioni e per offrire piattaforme di solidarietà a livello regionale e internazionale per difendere l’esperienza tunisina che ispira la nostra regione da più di un decennio».
Analisti: Vincolare il salvataggio Fmi al dialogo politico
Le marce in difesa dell’avvocata e in generale dei diritti delle donne, nelle parole dell’attuale presidente dell’Atfd, Nayela Al-Zaghlami, sono una delle tante «punture di spillo» con le quali la società civile tunisina reclama pressioni da parte della comunità internazionale sulla deriva autoritaria del presidente Saied. Quel che in effetti molti analisti ritengono cruciale per frenare il processo di de-democratizzazione che vive il Paese è imporre alcune condizioni agli aiuti economici promessi dalle istituzioni internazionali, in primis Fondo monetario internazionale (Fmi), per evitare la bancarotta entro sei o nove mesi.
«Uno spericolato dittatore in carica mentre l’economia è sull’orlo del collasso è una ricetta per il caos, con un potenziale effetto domino che si ripercuoterebbe sull’intera regione», sintetizza su Foreign Affairs il politologo Shadi Hamid. Perciò, se vogliono evitare l’implosione della Tunisia, l’Unione europea e gli Stati Uniti non hanno altra scelta che vincolare il salvataggio da 1,9 miliardi di dollari che il Fmi dovrebbe riversare nell’arco di 48 mesi nelle casse di Tunisi a due obiettivi primari: il rilascio dei detenuti politici e l’avvio di un genuino processo di giustizia transizionale. Un dialogo nazionale inclusivo come quello che nel 2015 valse al quartetto di Confindustria, sindacato, ministero dell’Interno e presidenza della Repubblica la conquista del premio Nobel per la pace, che vedeva tra i rappresentanti Wided Bouchamaoui, segretaria generale del sindacato Utica.