Un nuovo, piccolo, segnale distensivo merita di essere registrato: il ritorno dell'ambasciatore di Israele in Turchia, dopo anni di assenza e nervi tesi tra i due Paesi. Le manovre di riavvicinamento sono iniziate mesi fa.
Proviamo ad accogliere il 2023 con una notizia che sa di buoni auspici. Dopo quattro anni di sede scoperta, la nuova ambasciatrice di Israele in Turchia, Irit Lillian, ha presentato le credenziali al presidente Recep Tayyip Erdogan. I rapporti tra questi due Paesi, così “pesanti” e importanti per la stabilità del Medio Oriente, erano precipitati nel 2010, quando gli israeliani, per fermare la cosiddetta Gaza Freedom Flotilla che cercava di violare il blocco marittimo imposto alla Striscia di Gaza, assaltarono la nave Mavi Marmara uccidendo dieci cittadini turchi.
Le relazioni diplomatiche erano poi state ripristinate nel 2016, per precipitare un’altra volta nel 2018, a causa della repressione israeliana della cosiddetta Grande Marcia del Ritorno organizzata a Gaza. Ankara richiamò il proprio ambasciatore ed espulse quello israeliano. Una specie di paradosso storico, visto che nel 1949 proprio la Turchia fu il primo Paese a maggioranza islamica a riconoscere il neonato Stato di Israele.
Nel 2022 è arrivato il cambio di passo. In marzo il presidente israeliano Isaac Herzog si è recato in visita di Stato ad Ankara, la prima visita di tal genere dal 2008. E l’economia ha subito preso atto del nuovo clima: nei primi dieci mesi del 2022, 632 mila israeliani sono arrivati come turisti in Turchia, un aumento del 448 per cento rispetto al 2021 (anno in cui gli spostamenti internazionali risentivano, comunque, ancora dell’emergenza Covid-19 – ndr).
La distensione durerà? La domanda è lecita, perché i colpi di scena in negativo non sono mai mancati tra due Paesi intransigenti per natura e guidati da leader non sempre inclini alla diplomazia. Ma di questi tempi possiamo permetterci di sottovalutare un segnale positivo?