Se lo chiede anche il quotidiano da sempre filo-governativo Jerusalem Post: il nuovo governo targato Benjamin Netanyahu può essere definito una svolta storica o una definitiva sconfitta? Nell’analisi della nota editorialista Tovah Lazaroff, il dilemma non è da poco: questo governo di ultradestra sarà in grado di governare o piuttosto consegnerà il Paese al caos finale?
Nei giorni scorsi, nell’imminenza del giuramento (avvenuto ieri 29 dicembre, ma l’insediamento dell’esecutivo è previsto per il 2 gennaio) nelle principali città israeliane migliaia di manifestanti sono scesi in piazza contro il governo più a destra nella storia del Paese. Il timore, neppure troppo velato, è che questo governo, proprio per il peso della componente religiosa, indebolirà la democrazia interna, subordinando i tribunali al potere politico e, di fatto, rafforzando il potere del rabbinato sulla vita religiosa e civile. Ci sono poi le preoccupazioni della comunità Lgbtq, che si vede minacciata dall’impostazione del nuovo esecutivo, ma anche della minoranza araba e delle donne, che temono un’involuzione dei loro diritti e del loro ruolo sociale.
La violenza in Cisgiordania intanto continua ad aumentare, come denunciato anche dall’Assemblea dei vescovi cattolici di Terra Santa.
Una situazione che sembra destinata a incancrenirsi se il nuovo ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, leader del Partito religioso sionista, farà valere le sue promesse elettorali. Smotrich avrà anche la gestione degli affari civili in Cisgiordania. Lo stesso vale per il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, leader dell’ultranazionalista Otzma Yehudit (Potere ebraico) che sovrintenderà alla polizia di frontiera, il quale non ha mai taciuto la sua propensione all’annessione della Cisgiordania per decretare la fine dell’Autorità nazionale palestinese.
Non è un caso che il re di Giordania Abdallah II, nell’imminenza della nascita del nuovo governo israeliano, abbia messo in guardia circa il rischio di una terza intifada. E che il presidente statunitense Joe Biden si sia affrettato a diramare una dichiarazione giocata su due registri: da una parte congratulazioni e ampia disponibilità a collaborare con il governo di Netanyahu; dall’altra ha però avvertito che la sua amministrazione si opporrà a qualsiasi mossa che minacci una soluzione del conflitto che non sia quella dei due Stati. Un messaggio tagliente che mette in guardia Netanyahu circa la posizione che terranno gli alleati occidentali.
«Non vedo l’ora di lavorare con il primo ministro Netanyahu, che è mio amico da decenni, per affrontare insieme le numerose sfide e opportunità che Israele e la regione del Medio Oriente devono affrontare, comprese le minacce dall’Iran – ha affermato Biden –. Gli Stati Uniti continueranno a sostenere la soluzione dei due Stati e a opporsi a politiche che ne mettono in pericolo la fattibilità o contraddicono i nostri reciproci interessi e valori», ha concluso il presidente Usa.
La dichiarazione della Casa Bianca arriva nel bel mezzo delle tensioni tra l’amministrazione di Washington e i membri del nuovo governo, dopo che gli accordi di coalizione siglati da Netanyahu con i suoi partner includono anche un impegno ad aumentare gli insediamenti in Cisgiordania e legittimare gli avamposti illegali.
Se queste prese di posizione degli Usa saranno reali o se, come in passato, resteranno nel regno delle pie intenzioni, lo diranno i prossimi mesi. Sta di fatto che Netanyahu, nelle ore precedenti il giuramento del nuovo governo, ha cercato di calmare le preoccupazioni espresse dagli Stati Uniti affermando che sarà lui a decidere la politica del suo governo anche per Territori palestinesi e insediamenti.
Non sarà facile però frenare le pulsioni anti-palestinesi della destra estrema, messe nero su bianco nelle le linee guida pubblicate dal governo, nelle quali si afferma la volontà di portare avanti l’espansione degli insediamenti nelle aree che i palestinesi rivendicano per un futuro Stato. «Il popolo ebraico ha un diritto unico e irrevocabile su tutte le parti della Terra d’Israele – si afferma nel documento –. Il governo avanzerà e svilupperà insediamenti in tutte le parti di Israele: in Galilea, nel deserto del Neghev, nelle alture del Golan e in Giudea e Samaria (Cisgiordania)».