(g.s.) – A Betlemme la celebrazione liturgica della veglia natalizia cattolica di rito latino nella chiesa francescana di Santa Caterina, adiacente alla basilica della Natività, è cominciata con la recita corale e solenne dell’Ufficio delle letture. A presiedere il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, accolto in città nel pomeriggio, attorniato dai vescovi ausiliari e dal clero. Il rito della Messa è subito seguito. Vi hanno assistito quest’anno – dopo l’allentamento delle restrizioni sanitarie imposte negli scorsi anni dalla pandemia di Covid-19 – anche i vertici politici palestinesi, inclusi l’anziano presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il primo ministro Mohammad Ibrahim Shtayyeh, entrati in chiesa mentre l’assemblea era già in preghiera.
Il luogo sacro era gremito di fedeli locali e pellegrini, come non accadeva da tempo.
Nell’omelia il patriarca Pizzaballa si è soffermato sul messaggio del mistero del Natale nel contesto odierno: «Oggi – ha esordito – siamo invitati, come ogni anno, a inchinarci davanti a questo grande mistero, che è anche un annuncio di salvezza e di misericordia. Il Natale, infatti, non è solo un tempo, forse un po’ infantile, di gioia, di festa, di luci, o di bambini felici e di dono condivisi con i bisognosi. Prima di tutto è celebrazione della rivelazione di Dio nella storia, è la manifestazione dell’intenzione divina nei confronti dell’uomo, che a Natale raggiunge il suo apice. Natale è lo sguardo e il giudizio di Dio sul mondo. È un giudizio di salvezza e di misericordia, di compassione e non di condanna».
Quando Gesù venne al mondo a Betlemme, ha osservato Pizzaballa, «la vita del mondo era segnata dal peccato. Il mondo di allora era lacerato, diviso e violento non meno di oggi, lo sappiamo. Ma con il Natale di Cristo, qualcosa inizia a cambiare. Con la nascita del Bambino di Betlemme, infatti, nasce anche una nuova opportunità di relazione tra gli uomini. Non ci sono stati improvvisi cambiamenti nella vita di quel mondo violento, è vero. Tuttavia, quella intenzione divina, quel desiderio di Dio carico di compassione, che a Natale si è fatto carne e reso visibile in un Bambino, poco alla volta, da questo Luogo, ha cominciato ad espandersi in tutto il mondo. E ha portato un nuovo stile di vita, basato sulla dignità di ogni uomo e donna, su una giustizia che non è mai disgiunta dalla misericordia, sul desiderio che tutti siano salvi. Da allora quella intenzione divina continua ancora ad irradiarsi, portando la sua luce su coloro che abitano in terra tenebrosa».
A questo punto il patriarca ha introdotto una riflessione sul tema della violenza imperversante: «Da allora fino ad oggi, quello sguardo e quel giudizio di Dio si rendono presenti nel mondo attraverso la Chiesa. Perché il cristianesimo è innanzitutto lo stile di vita di chi ha deciso di accogliere l’invito ad essere testimone credibile del disegno di salvezza che Dio ha per tutti. (…) Si ha una visione più vera degli eventi del mondo, se si guarda anche con il cuore e non solo con gli occhi. (…) Con gli occhi, qui in Terra Santa, vediamo che la violenza sembra essere diventata la nostra lingua principale. Il nostro modo di comunicare. Vi è violenza crescente innanzitutto nel linguaggio della politica. Abbiamo già espresso le nostre preoccupazioni per l’orientamento che sta prendendo la politica in Israele, dove si rischia di rompere il già fragile equilibrio tra le diverse comunità religiose ed etniche che compongono la nostra società. La politica ha il compito di servire il paese e i suoi abitanti, di operare per l’armonia tra le diverse comunità sociali e religiose del Paese e tradurle in azioni concrete e positive sul territorio, e non fomentare, invece, divisioni o, peggio, odio e discriminazione».
Guardare la realtà con il cuore impone di riconoscere che è illusorio pensare che la pace possa venire senza la giustizia. Così il patriarca in un altro passaggio dell’omelia: «Quest’anno, inoltre, abbiamo visto crescere tanta violenza nelle strade e nelle piazze palestinesi, con un numero di morti che ci porta indietro di decenni. È un segno del preoccupante aumento della tensione politica e del crescente disagio, soprattutto dei nostri giovani, per la sempre più lontana soluzione del conflitto in corso. La questione palestinese, purtroppo, sembra ormai non essere più al centro dell’attenzione del mondo. Anche questa è una forma di violenza, che ferisce la coscienza di milioni di palestinesi, lasciati sempre più soli e che da troppe generazioni sono in attesa di una risposta al loro legittimo desiderio di dignità e di libertà».
>>> Leggi anche: L’allarme dei leader cattolici di Terra Santa
Ma la violenza non è solo appannaggio del contesto politico. Monsignor Pizzaballa si rammarica: «Purtroppo la violenza non è solo nella politica. La vediamo nelle relazioni sociali, nei media, nei giochi, nel mondo della scuola, nelle famiglie, e a volte anche nella nostra comunità. Tutto ciò nasce dalla sempre più profonda mancanza di fiducia che segna il nostro tempo. Non abbiamo fiducia in un cambiamento possibile, non ci si fida più l’uno dell’altro. E così la violenza diventa l’unico modo di parlarsi. La mancanza di fiducia è ciò che sta all’origine di ogni conflitto qui in Terra Santa, o in Ucraina e in tante altre parti del mondo».
Una via d’uscita c’è e la Chiesa la propone ancora una volta, con umile fermezza: «In questi contesti così lacerati e feriti, dunque, la prima e più importante vocazione della nostra Chiesa è aiutare a guardare il mondo anche con il cuore, e ricordare che la vita ha senso solo se si apre all’amore. (…) La pace, che tutti desideriamo, non nasce da sé. Essa attende uomini e donne che sappiano tradurre in azione concreta e tangibile, nelle piccole e grandi cose di ogni giorno, lo stile di Dio. Persone, cioè, che non abbiano paura di incarnarsi nella vita del mondo, e che con gesti di amore gratuito sappiano risvegliare il desiderio di bene che alberga nel cuore di ogni uomo, che attende solo di essere liberato dai lacci dell’egoismo».