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Monsignor Bizzeti: la tradizione siriaca, terzo «polmone» della cristianità

Terrasanta.net
28 dicembre 2022
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Monsignor Bizzeti: la tradizione siriaca, terzo «polmone» della cristianità
14 novembre 2022, mons. Paolo Bizzeti (a sinistra), vicario apostolico di Anatolia, visita il metropolita siriaco Timotheos Samuel Aktas, presso il monastero di Mor Gabriel (Midyat), uno dei più antichi al mondo.

In Anatolia, nel segno dell'ecumenismo, è in corso la riscoperta di una straordinaria tradizione del cristianesimo orientale. La racconta monsignor Paolo Bizzeti, vescovo nell’est della Turchia.


«La Turchia è un Paese molto interessante, ha una ricchezza straordinaria anche dal punto di vista del cristianesimo». Si illumina monsignor Paolo Bizzeti, quando parla delle terre in cui è vescovo, «perché – aggiunge – si ha la possibilità di comprendere come il cristianesimo nei secoli si sia espresso in modalità tanto diverse, attraverso georgiani, armeni, caldei, siriaci, bizantini, latini, nelle chiese della Riforma e altre realtà…».

Gesuita fiorentino, da sette anni vicario episcopale ad Alessandretta, padre Bizzeti prima di avere affidata la cura pastorale dei pochi cattolici latini sparsi nell’Anatolia centrale e orientale, aveva già un profondo interesse per la Turchia, «un grande amore» sbocciato alla fine degli anni Settanta e continuato nella ricerca dei luoghi biblici di quelle terre, percorse da san Paolo e dalle prime comunità, che oggi descrive come pioneristica.

Insieme a padre Sabino Chialà, priore della comunità di Bose, ha scritto di recente un libro dedicato alle chiese e ai monasteri della tradizione siriaca (Turchia. Chiese e monasteri di tradizione siriaca, TS Edizioni, 2022), presentato a Milano alla fine di ottobre. La tradizione siriaca è chiamata il terzo «polmone» della cristianità, una «terra di mezzo» situata nella Turchia sudorientale e che, nonostante persecuzioni e il forzato esilio di interi villaggi, conserva le tracce di un patrimonio di alto valore, non solo di «pietre», cioè gioielli architettonici come sono chiese e monasteri, ma anche di piccole comunità che resistono.

Monsignor Bizzeti, si può parlare di una riscoperta di questa presenza antica del cristianesimo?

Dagli anni Novanta è in corso un processo di restauro di chiese e monasteri, edifici risalenti a un’epoca dal IV al VII secolo, oggi tornati all’antico splendore, in contesti naturali molto belli. Alcuni di questi monasteri stanno riprendendo vita anche grazie a giovani monaci intraprendenti, con una vita spirituale molto intensa. Sono nate amicizie, si sono moltiplicati i motivi di interesse per me e per le persone accompagnate in pellegrinaggio.

C’è ignoranza in Turchia, anche tra i cristiani, rispetto a questo tesoro?

Certamente. Conosciamo Istanbul, Efeso, o luoghi battuti dai grandi tour operator… ma c’è una Turchia meno conosciuta e per certi versi ancora più affascinante.
Occidente e Oriente cristiano, almeno a livelli di grandi masse, non si conoscono o si conoscono solo per slogan. È bene uscire da queste chiusure che hanno indebolito il cristianesimo. Assumendo atteggiamenti molto autoreferenziali, ognuno si prende sorprendentemente sul serio, ma come Chiesa siamo chiamati ad aprire le porte, a conoscere le altre tradizioni, a partire dalle nostre Chiese sorelle.

Negli ultimi anni, il lavoro sulla Chiesa siriaca ha fatto grandi passi avanti…

Quello che mi ha mosso principalmente, nel descrivere la tradizione siriaca, è stato il desiderio di un lavoro ecumenico di base, fatto di un’azione concreta che nasce dalla simpatia, dalla stima e quindi dalla valorizzazione di questa tradizione. La situazione per le piccolissime minoranze continua a essere difficile, soprattutto quando non c’è una forte volontà di garantire delle pari opportunità per le varie espressioni religiose. Mancando questo, il ritorno di alcune persone sono più segni profetici che segnali di grandi novità.

Quali difficoltà incontra chi torna?

Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, c’è stato un progetto dei governi tedesco e turco per una «legge del ritorno» di questi siriaci. Hanno costruito case e ridato vita a villaggi, ma c’è un’ostilità strisciante a livello locale da parte di persone poco istruite, così quel bel progetto è in buona parte naufragato. Molte case ricostruite si ravvivano d’estate, ma non stabilmente. Si continua però ad insegnare la lingua siriaca, spesso nei monasteri, per i giovani cresciuti in Europa occidentale. Pur in mezzo a tante difficoltà, persone cresciute in Svizzera, Olanda, Belgio o Germania hanno sentito il ritorno come una vocazione.

Veduta invernale di Mor Yakup d’Karno (monastero di san Giacomo il Maestro, provincia di Mardin, Turchia sud-orientale)

Che cosa rappresentano oggi questi monasteri?

Il monastero ha la funzione di centro di spiritualità. La gente vi cerca un colloquio, partecipa a una liturgia, vi cerca il senso della vita. Si comprende qualche cosa del mistero di Dio. È una interazione tra consacrati e famiglie.

C’è una ripresa del turismo religioso e dei pellegrinaggi?

Passata la fase più acuta della pandemia di Covid-19, c’è una considerevole richiesta di pellegrinaggi, soprattutto nei luoghi biblici e patristici. Tradurremo entro un anno questa guida in turco e inglese per far conoscere meglio una parte del Paese. Nei luoghi del cristianesimo siriaco ho portato giovani che hanno letto e pregato sui testi proposti da Sabino Chialà, che è un esperto degli autori siriaci. Sono entrati subito in sintonia, anche se le nostre categorie sono diverse. Noi siamo di cultura ellenistica e latina, molto definitoria – tutto deve essere preciso e sistemico – tocchiamo meno l’aspetto affettivo, immaginifico, la fantasia. I testi dei grandi autori della Chiesa siriaca invece hanno un approccio ai sacri misteri diverso, che suscita empatia nei giovani che ho accompagnato. Il vero pellegrinaggio, infatti, è anche un viaggio nella storia, nella teologia, nella poesia.


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