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Quei felici incontri intorno a Edith

fra Alberto J. Pari
28 novembre 2022
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Nell'ottobre scorso il borgo bresciano di Pontevico ha accolto festosamente un ebrea israeliana quasi centenaria che ha fatto ritorno nel paese dove trovò scampo dalle persecuzioni nazi-fasciste. La accompagnava il nipote Roy, per il quale il viaggio è stato una scoperta...


Qualche mese fa ho avuto modo di raccontarvi la storia di Edith Fischhof Gilboa, l’amica ritrovata, salvata dal mio paese in provincia di Brescia, quando, da adolescente ebrea, fuggiva dalla furia nazista. Vivo in Terra Santa da sedici anni, ma non ci siamo mai incontrati; la pandemia di Covid-19 aveva impedito un nostro vero incontro, dopo esserci ritrovati, e le nostre comunicazioni erano avvenute solo a distanza. Lo scorso mese finalmente abbiamo realizzato un sogno: siamo tornati insieme a Pontevico, il borgo bresciano protagonista della vicenda di Edith.

L’occasione è stata, il 22 ottobre, la cerimonia di intitolazione della sala civica presso il teatro del paese ai due Giusti tra le nazioni (il carabiniere Giuseppe Ippoliti e sua moglie Teresa Zani – ndr) che salvarono Edith e Trude, sua sorella, nel lontano 1943. Ho pensato di rendere speciale questo evento, con un concerto in onore di Edith, dei due giusti e di tutta Pontevico, viaggiando da Gerusalemme con alcuni studenti dell’Istituto Magnificat. La breve e speciale tournée della scuola di musica della Custodia di Terra Santa è stata piena di sorprese ed emozioni; Edith era accompagnata da uno dei suoi nipoti, Roy. Il primo giorno è iniziato con la cerimonia ufficiale, alla presenza delle autorità civili e del prefetto di Brescia, e si è concluso con il concerto presso la chiesa abbaziale. Edith è rimasta impressionata dalla bravura dei nostri allievi e la popolazione convenuta ha espresso grande entusiasmo.

Il concerto è stato senza dubbio il momento più importante per me e i miei studenti, ma ci sono state situazioni che si sono create in modo spontaneo e che hanno reso il viaggio un’esperienza molto ricca. La mia famiglia ha organizzato due pasti in casa per me e i due giovani musicisti, cristiani palestinesi, con cittadinanza israeliana, poco più che diciottenni. Allo stesso tavolo erano presenti Edith, piena di vita ed entusiasta di parlare per ore e raccontare della sua storia, e con lei suo nipote. Roy è un quarantenne ebreo israeliano laico, curioso e meravigliato per la calorosa accoglienza che Pontevico ha riservato alla nonna, ma ancor più sorpreso di quel che avviene a tavola. Per la prima volta si è trovato a condividere un pasto con con palestinesi provenienti da Gerusalemme. I due giovani hanno comunicato con lui nella sua lingua, appresa a scuola, in modo che non si sentisse escluso e a disagio mentre noi parlavamo italiano con Edith. Sono certo che Roy sia cresciuto in una parte della società che mai ha pensato ai palestinesi come possibili amici, o vicini, o addirittura commensali, ma come nemici di cui diffidare. Mi ha confessato che mai prima aveva provato il disagio di non conoscere nemmeno una parola di arabo, mentre quei due ragazzi palestinesi per accoglierlo e abbattere ogni separazione culturale e umana comunicavano con lui in ebraico.

Il giorno dopo Edith era impegnata in altri incontri ufficiali; Roy mi ha chiamato chiedendo se poteva tornare a pranzare con noi. La gioia che ha provato nel trascorrere ancora del tempo con i due ragazzi palestinesi era radiosa sul suo volto. Io e i miei genitori siamo stati testimoni di rari momenti di armonia. Il viaggio, che aveva come obiettivo il rendere omaggio a Edith e alla sua storia, è stato molto di più per tutti: l’occasione per sperimentare la bellezza del vivere insieme, di gustare un poco del mondo migliore in cui vogliamo vivere, anche a Gerusalemme, dove alcune ferite hanno bisogno di pazienti cure.

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