A noi occidentali piace molto parlare di diritti umani, ma a fasi alterne. Ne abbiamo scritto decine di volte: propagandare valori e ideali solo quando fa comodo, e procura vantaggi, alimenta non poche sofferenze ai popoli.
Gli appassionati di calcio, come tutti coloro che in un modo o nell’altro seguono il monumentale scandalo chiamato Campionati del Mondo in Qatar (220 miliardi di dollari spesi per far giocare le Nazionali in stadi costruiti nel deserto sulle spoglie di centinaia di vittime del lavoro), hanno notato il gesto dei giocatori tedeschi che, non potendo indossare la fascia con la scritta One love si sono fatti riprendere in mondovisione con una mano sulla bocca, a significare la censura subita.
Sarebbe interessante ora sapere che cosa pensano gli stessi campioni dell’accordo quindicennale che il loro governo ha siglato per avere (a partire dal 2026 – ndr) due milioni di tonnellate di gas liquefatto l’anno, estratte da giacimenti qatarini e consegnate a domicilio dall’azienda statunitense ConocoPhillips nel porto di Brunsbuttel, sull’estuario dell’Elba, nel Nord della Germania. Va tutto bene? È lecito criticare un Paese come oppressore dei diritti civili (e fosse tutto lì, aggiungiamo noi) e poi mettersi tranquillamente in affari con esso?
Non vogliamo dare ai calciatori responsabilità più grandi di loro e delle loro competenze. Anche perché c’è di peggio: Nancy Faeser, socialdemocratica, ministra dell’Interno del governo del cancelliere Olaf Scholz (tra l’altro la prima donna a ricoprire tale incarico) è andata in visita a Doha, dichiarando che il Qatar ha «ottime leggi» sui diritti umani, mentre solo pochi giorni prima aveva dichiarato in tivù che «sarebbe meglio se certe manifestazioni (appunto il Campionato del Mondo – ndr) non fossero assegnate a certi Paesi».
È facile ora dire che le nozze energetiche Germania-Qatar stanno dentro l’enorme problema della guerra in Ucraina e del rifiuto del gas e del petrolio della Russia. Di questioni come questa, però, è piena la storia contemporanea, anche molto prima dell’invasione russa. Solo due settimane fa, su richiesta del presidente Joe Biden, gli Usa hanno concesso all’uomo forte dell’Arabia Saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman, l’immunità rispetto al feroce omicidio del giornalista Jamal Kashoggi. Un atto dovuto, in base ai trattati internazionali, perché Bin Salman è diventato pochi giorni fa primo ministro del suo Paese. Ma Kashoggi fu ammazzato nel 2017, dunque per cinque anni non si è fatto nemmeno un passo per fare giustizia. Parlando senza sosta, nel frattempo, di diritti umani e di tante altre belle e teoriche cose.
Ne abbiamo scritto decine di volte. Non perché pensiamo che la politica internazionale sia appannaggio delle anime belle. Al contrario. Il fatto è che questo modo di propagandare valori e ideali solo quando fa comodo e procura vantaggi, di bombardare il «cattivo» che non ci sta e accarezzare il «cattivo» che ci sta, è un fattore enorme di sofferenze per i popoli e di instabilità politica ed economica per il mondo. E, soprattutto, non funziona più. Perché, altrimenti, ci sarebbero tanti Paesi che non aderiscono alle sanzioni contro la Russia e continuano a fare affari con il Cremlino?