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L’Iran e l’indifferenza dei leader mondiali

Manuela Borraccino
17 novembre 2022
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La repressione non ferma le proteste. Ma molte attiviste accusano la comunità internazionale di indifferenza di fronte alle violazioni dei diritti. L’Iran, che non ha mai firmato le Convenzioni sui diritti delle donne, non rispetta neppure quella sui bambini.


Sono sempre più numerose le organizzazioni femministe di vari Paesi che puntano il dito contro l’inerzia della comunità internazionale – anche a causa della guerra in Ucraina – di fronte ai massacri che stanno avvenendo in Iran. A due mesi dalla morte della 22enne curda Mahsa Amini (la scintilla che ha incendiato le proteste), secondo fonti citate dall’agenzia Reuters, al 16 novembre le vittime sarebbero 380. Fra queste, secondo notizie difficilmente verificabili, almeno una cinquantina sarebbero minorenni.

Nell’ultima dichiarazione dello scorso 26 ottobre, il rappresentante speciale dell’Onu per i diritti umani in Iran Javaid Rehman aveva chiesto l’incriminazione degli agenti di polizia e volontari delle milizie Basji, che hanno ucciso «27 minorenni, picchiati a morte o feriti mortalmente con armi da fuoco». Appelli caduti vergognosamente nel vuoto, rimarca la politologa statunitense Neda Bolourchi che ha preso parte a un panel online promosso dall’organizzazione ombrello, con sede a New York, che raggruppa le ong che collaborano con la Commissione sulla condizione delle donne (Commission on the Status of Women, CSW) del Consiglio economico e sociale dell’Onu in collaborazione con l’agenzia dell’Onu per le donne e la Fondazione donne iraniane-americane.

«Assistiamo impotenti all’inazione della comunità internazionale – ha esordito Bolourchi, docente di Storia del Medio Oriente all’istituto accademico Rutgers – di fronte alle violazioni dei diritti umani da parte dell’Iran e alle violazioni dei trattati multilaterali che la Repubblica islamica ha firmato, come la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, della quale l’Iran ha violato almeno sei articoli: quello che vieta di reprimere con armi letali l’espressione dei diritti di opinione, il ricorso alla tortura, il ricorso a forme degradanti di reclusione, il diritto ad avere un avvocato per chi viene accusato, gli arresti arbitrari, la repressione della libertà di coscienza. Purtroppo in queste settimane non ci sono state né riunioni di urgenza, né Risoluzioni, né commissioni di inchiesta. E quel che è peggio è che per oltre sei settimane non ci sono state neanche dichiarazioni di condanna dei crimini commessi dal regime contro i civili disarmati, ma solo espressioni di preoccupazione».

La studiosa ha ricordato come solo dopo quaranta giorni dalla morte della giovane curda per mano della polizia, quando le proteste si sono allargate a tutto il paese, il Consiglio sui diritti umani dell’Onu ha diffuso una nota di condanna per la violenza del regime sui civili, compresi 23 bambini che in quel momento risultavano aver perso la vita nelle manifestazioni, oggi probabilmente più del doppio. «Solo allora – ha detto – è stato ricordato alle autorità della Repubblica islamica il diritto dei bambini alla vita, alla libertà di pensiero e il diritto di manifestarlo pacificamente». Eppure la Convenzione dell’Onu sui diritti del fanciullo, adottata dall’Onu nel 1989, è stata firmata e ratificata dall’Iran nel 1994.

«Penso che tutte queste gravissime violazioni del diritto internazionale – ha chiosato Neda Bolourchi – segnalino un grave fallimento da parte della comunità internazionale. Le numerose violazioni del diritto internazionale da molti anni da parte dell’Iran sono anche il motivo per cui molte organizzazioni della società civile stanno chiedendo alle Nazione Unite di espellere l’Iran dalla Commissione sulla condizione delle donne. Dobbiamo esigere che la comunità internazionale entri in azione».

Tra le convenzioni che la Repubblica islamica non ha mai firmato (insieme a Sudan e Somalia) figura anche la Convenzione internazionale per eliminare le discriminazioni contro le donne, adottata dall’Onu nel 1979 e che è considerata la pietra miliare che ha aperto la strada a successivi riconoscimenti a livello nazionale e internazionale del diritto all’uguaglianza di genere e alle pari opportunità nell’accesso all’istruzione, alla tutela della salute, alla partecipazione politica ed economica, al lavoro e alla parità salariale.

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