(c.l.) – «Una decisione del genere danneggerebbe ulteriormente un processo di pace già moribondo». È netta la posizione che i patriarchi e capi delle Chiese cristiane in Terra Santa esprimono in una dichiarazione resa pubblica il 10 ottobre 2022 circa il possibile trasferimento dell’ambasciata britannica in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. L’eventualità è stata evocata dalla neo-premier del Regno Unito Liz Truss in un faccia a faccia con l’omologo israeliano Yair Lapid a margine dei lavori dell’assemblea generale delle Nazioni Unite il 21 settembre scorso a New York.
Il 2 ottobre a Birmingham, in Inghilterra, durante un evento organizzato dal gruppo dei Conservatori amici di Israele, la prima ministra britannica e leader del partito conservatore ha ribadito di essere «una grande sionista e sostenitrice di Israele» e ha colto l’occasione per affermare il suo impegno nel «rafforzare le relazioni tra il Regno Unito e Israele». Tuttavia, per il momento, non c’è alcun atto formale per avviare il trasferimento dell’ambasciata.
Un simile passo si porrebbe nella scia della controversa decisione adottata nel 2017 dall’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ordinò di trasferire la sede diplomatica statunitense fino a quel momento situata a Tel Aviv. Una deliberazione che il successore, Joe Biden, non ha revocato. Dopo gli Stati Uniti, anche Guatemala, Honduras e Kosovo hanno trasferito la propria ambasciata a Gerusalemme. Tutte le altre restano a Tel Aviv. Australia, Ungheria, Repubblica Ceca e Serbia si sono limitate ad aprire nella Città Santa uffici di rappresentanza dedicati al commercio o alla difesa.
Un trasloco che sarebbe un avallo
Per le Chiese di Gerusalemme, «il fatto stesso di riconsiderare l’ubicazione dell’ambasciata britannica suggerirebbe che gli accordi negoziali riguardo a Gerusalemme e alla Cisgiordania abbiano già risolto le dispute in corso tra le parti interessate – quando in realtà non è così – oppure che nessuno di quei negoziati è più necessario e che la continua occupazione militare di questi territori e l’annessione unilaterale di Gerusalemme Est sono entrambe accettabili». «Non possiamo credere – osservano i capi religiosi cristiani di Terra Santa – che sia questo il messaggio che il governo britannico intende inviare al mondo».
Va ricordato, in proposito, che i palestinesi sperano ancora di fare di Gerusalemme Est – che include la città vecchia, con il Muro occidentale, il sito più sacro dell’ebraismo; il Santo Sepolcro; la Spianata delle Moschee, considerata uno dei luoghi più santi dell’Islam – la capitale del loro futuro Stato. Gli israeliani, dal canto loro, considerano l’intera città, coi quartieri orientali e occidentali, la propria capitale unica e indivisibile. Per le Nazioni Unite, lo status di Gerusalemme deve essere concordato tra israeliani e palestinesi, nel quadro di un accordo di pace tra le due parti, prima che Paesi terzi possano aprire le proprie ambasciate a Gerusalemme.
«In quanto città santa delle tre fedi abramitiche che rappresentano più della metà della popolazione mondiale – hanno ribadito i leader cristiani nella loro dichiarazione –, Gerusalemme è da tempo riconosciuta dalla comunità internazionale, compreso il Regno Unito, come avente uno status speciale (Corpus Separatum), volto a salvaguardare la libertà di religione, la sacralità di Gerusalemme come città santa e il rispetto e la libertà di accesso ai suoi luoghi santi (Rapporto Onu, Lo status di Gerusalemme, 1997)».
Lo status quo religioso secondo i leader cristiani è importante per mantenere l’armonia a Gerusalemme e per le buone relazioni tra le comunità religiose di tutto il mondo: «il riconoscimento implicito di questo status quo è il Corpus Separatum». Di fatto, «la proposta di trasferire l’ambasciata britannica a Gerusalemme», osserva la dichiarazione del 10 ottobre, «minerebbe seriamente questo principio chiave del Corpus Separatum e i negoziati politici che cerca di promuovere». Per questo, le Chiese di Terra Santa invitano il Regno Unito a «raddoppiare gli sforzi diplomatici» per porre fine al conflitto israelo-palestinese, piuttosto che spostare l’ambasciata.
Il monito delle autorità ecclesiastiche britanniche
L’intervento dei patriarchi e dei capi delle chiese di Terra Santa fa seguito a quelli dei più importanti leader religiosi cristiani del Regno Unito, che si sono subito espressi contro i propositi di Liz Truss.
In una dichiarazione rilasciata il 7 ottobre a Jewish News, il portavoce dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha espresso la preoccupazione del primate della Comunione anglicana per i possibili effetti di un trasferimento dell’ambasciata britannica prima che venga raggiunto un accordo di pace tra palestinesi e israeliani. L’arcivescovo continua a pregare per la pace a Gerusalemme e a mantenersi in contatto con i leader cristiani in Terra Santa.
Dal canto suo, il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e primate della Chiesa cattolica in Inghilterra e Galles, ha annunciato di aver scritto alla premier esortandola a non cambiare sede all’ambasciata. Su Twitter, il 6 ottobre ha riassunto il suo pensiero esprimendo «profonda preoccupazione» per una decisione che «sarebbe seriamente dannosa per qualsiasi possibilità di pace duratura nella regione e per la reputazione internazionale del Regno Unito». Ha poi aggiunto: «Papa Francesco e i capi delle Chiese in Terra Santa chiedono da tempo il mantenimento dello status quo internazionale su Gerusalemme, in conformità con le risoluzioni delle Nazioni Unite in materia. La città deve essere condivisa come patrimonio comune, senza mai diventare monopolio esclusivo di nessuno». Il cardinale ha concluso: «Non vedo alcuna ragione valida per cui si debba prendere in considerazione un trasferimento ora. Chiedo sinceramente al Primo Ministro di riconsiderare l’intenzione che ha espresso e di concentrare tutti gli sforzi per trovare una soluzione a due Stati, in cui Gerusalemme abbia uno status speciale garantito».
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Clicca qui per il testo integrale (in lingua inglese) della citata dichiarazione del 10 ottobre 2022.
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