Al termine di una decina di giorni di discussioni, Israele e Libano l’11 ottobre hanno dichiarato di accettare l’accordo, proposto dagli Stati Uniti, sulla definizione della loro frontiera marittima. I due Paesi non hanno relazioni diplomatiche (ufficialmente sono in guerra), ma la mediazione condotta da Amos Hochstein, con un lavoro durato due anni, ha portato a un compromesso.
La questione riguarda una zona marittima del Mediterraneo orientale di circa 860 chilometri quadrati, sulla quale i due Paesi avevano una disputa che durava da un decennio. Il compromesso prevede di tracciare una linea, detta linea 23, per delimitare le zone di sfruttamento delle risorse marine e sottomarine, specialmente il gas. Il giacimento Karish, che si trova a sud della linea di demarcazione resterà sotto il controllo di Israele, mente le riserve del giacimento Cana, collocate a nord-est, saranno trasferite al Libano. Solo una parte degli introiti del Cana andranno a Israele, perché il giacimento è parzialmente a sud del tracciato della linea 23.
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La questione del confine era tornata di attualità in modo preoccupante lo scorso giugno quando una piattaforma israeliana era stata portata sul giacimento di Karish. Ne erano seguite minacce di ritorsione armata da parte di Hezbollah, il movimento sciita libanese, dotato di armi e influente nel sud del Paese dei Cedri, contrario alle estrazioni in mancanza di un accordo. Dopo che l’ambasciatrice Usa a Beirut Dorothy Shea ha consegnato la proposta ai responsabili delle istituzioni libanesi, sono iniziate intense discussioni all’interno del complesso sistema politico di Beirut, fatto da numerosi partiti legati alle identità religiose, tra cui lo stesso Hezbollah, che, per bocca del suo leader Hassan Nasrallah, non si è opposto alla soluzione diplomatica.
In Israele, nonostante le proteste di Benjamin Netanyahu, a capo dell’opposizione, c’è stata subito una disponibilità ad accogliere il piano da parte del governo di Yair Lapid, pur respingendo qualche emendamento dei libanesi.
Una tempistica favorevole
Alcuni fattori hanno spinto in direzione dell’accordo, in particolare due scadenze. In Libano il 31 ottobre termina il mandato del presidente Michel Aoun, aprendo una fase di incertezza politica. Israele va invece a elezioni anticipate il primo novembre e non è certo che i partiti favorevoli a un accordo avranno la maggioranza. Il calendario può certamente avere favorito il raggiungimento dell’accordo. Inoltre, il compromesso sul confine marittimo abbassa la tensione sempre presente sul confine terrestre tra i due Paesi, dove da decenni c’è una forza di interposizione dell’Onu. Beirut si dice inoltre favorevole a un controllo da parte della forza Onu della zona marittima di confine.
Ma soprattutto è la geopolitica dal gas ad avere cambiato le carte in tavola. L’accordo, infatti, favorisce lo sfruttamento dei giacimenti. Israele, attraverso la società greca Energean punta a sfruttare in tempi brevi le risorse del Karish e così aumentare le forniture ai Paesi europei, sempre più affamati di gas dopo la crisi causata dall’invasione russa dell’Ucraina. Per il Libano, invece è pronta l’azienda francese Total ad avviare le operazioni di esplorazione e sfruttamento del Cana. Sprofondato da tre anni in una crisi economica e finanziaria, il Libano ha urgente bisogno di fondi.
In generale, la questione dei confini marittimi nel Mediterraneo orientale sta diventando particolarmente spinosa, in seguito alle scoperte di importanti giacimenti di gas e per le competizioni geopolitiche che vedono su fronti opposti Turchia e Libia, da una parte, Grecia, Cipro ed Egitto, dall’altra. Un’ulteriore tensione tra israeliani e libanesi avrebbe solo complicato il quadro. Tuttavia, come fa notare il quotidiano di Beirut L’Orient-Le Jour, un «via libera» è stato dato da Hezbollah, che così ha accettato un accordo diplomatico con il «nemico sionista». Le ragioni non sono del tutto chiare, non si sa quanto abbia pesato la crisi economica che colpisce tutta la società libanese o quanto abbia contato il processo diplomatico (più ampio) che coinvolge gli Usa e l’Iran, protettore di Hezbollah, sulla questione nucleare. Certo, la soluzione diplomatica tra Israele e Libano costituisce un importante segno di speranza. (f.p.)
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