Qualche crepa si apre nell’establishment iraniano. Mentre commercianti e operai solidarizzano con gli studenti, l’ex portavoce del Parlamento Ali Larijani ammette: «Il malessere ha cause politiche profonde e non è provocato solo da Stati Uniti e Israele».
L’hanno definita «la Rivoluzione delle donne». Ma non è più soltanto una marea di giovani e adulte a riversarsi in strada da 26 giorni, in un’ondata di proteste estese ormai in più di 80 città iraniane, dal Kurdistan al Balucistan. Ad un mese dall’arresto e dalla morte violenta tre giorni dopo della 22enne di origina curda Mahsa Amini, percossa a morte dalla polizia perché indossava il velo in modo inadeguato, cominciano ad apparire le prime crepe all’interno dell’élite politica iraniana.
Prime crepe ai vertici
Ne sono prova le dichiarazioni pronunciate mercoledì da un pezzo da novanta dell’establishment iraniano, l’ex portavoce del Parlamento Ali Larijani. In un’intervista ad una testata iraniana, l’influente politico e filosofo iraniano ha chiesto «una revisione sull’applicazione della legge sull’obbligo di indossare il velo» ed il codice di abbigliamento ripristinato dagli ayatollah nel 1979, all’indomani della Rivoluzione islamica, e ha ammesso che «le proteste hanno cause politiche profonde, e non sono semplicemente il frutto di istigazioni ad azioni eversive provocate da Stati Uniti o Israele», come sostenuto finora dai vertici della Repubblica islamica. Le sue parole contrastano nettamente con quelle pronunciate negli ultimi giorni dalla Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, e da numerosi esponenti del Parlamento e delle Forze di sicurezza.
Iran Human Rights: «Oltre 200 morti dopo 27 giorni di proteste»
Le proteste dilagano ormai tra le studentesse delle scuole superiori, coinvolgono diversi ordini professionali e categorie del commercio, lambiscono il settore petrolifero, con operai scesi in strada accanto agli studenti. Benché l’oscuramento di Internet impedisca i collegamenti tra le persone e il controllo delle notizie provenienti da diversi luoghi dell’Iran, è sempre più chiaro che la maggior parte dei manifestanti non sono più interessati solo alla questione del velo, ma chiedono cambiamenti sociali radicali sull’onda dello slogan «Donne, vita, libertà!». Secondo Iran Human Rights, un’organizzazione iraniana con sede ad Oslo (Norvegia), il numero delle vittime della repressione dopo 27 giorni di proteste ha sfondato quota 200 persone, fra le quali 23 minorenni, mentre 120 persone sono state incriminate (60 solo a Teheran) secondo i dati ufficiali della magistratura iraniana.
Larijani: «Il tema dell’hijab è culturale, non questione di decreti»
È in questo contesto che Larijani ha rotto un lungo periodo di silenzio per mettere in discussione l’eccessivo rigore nell’applicazione della legge sull’hijab, la questione che potrebbe esser stata la causa della morte di Mahsa Amini. Nella lunga intervista, il filosofo ha avvertito che l’estremismo nel far rispettare le leggi porta a reazioni estremiste. «La soluzione al tema dell’hijab è culturale, non ha bisogno di decreti o referendum. Apprezzo il servizio delle forze di polizia e dei Basji (la milizia paramilitare di volontari al servizio dell’esercito) ma l’onere di incoraggiare l’uso del velo non dovrebbe essere assegnato a loro. Non c’è alcun dubbio – ha rimarcato – che quando un fenomeno culturale diventa di massa, la reazione rigida non è la cura. La gente e i giovani che scendono in strada sono i nostri figli. In una famiglia, se un bambino commette un reato, i genitori cercano di condurlo sulla giusta strada: la società ha bisogno di una maggiore tolleranza».
«È come se ad una persona con l’emicrania – ha aggiunto – prescrivessimo un farmaco per i cardiopatici e chiudessimo tutte le arterie: questo è quello che abbiamo fatto sul tema del velo». Ha poi ricordato che durante il regime dello scià prima del 1979, l’uso dell’hijab non era raccomandato ma molte donne lo portavano per scelta. Egli ha anche ammesso che se i giovani non applicano correttamente le leggi della sharia, «non si può dire che questo sia al 100 per cento sbagliato».
Mezzo popolo iraniano ha meno di 30 anni
Larijani, che per decenni ha calcato da protagonista la scena politica iraniana e che l’anno scorso è stato escluso dal Consiglio dei Guardiani dalla corsa alla presidenza perché avrebbe probabilmente battuto Ebrahim Raisi, il candidato favorito dalla Guida suprema, ha toccato un nodo cruciale delle proteste di questi giorni. Tra gli 86 milioni di iraniani, secondo le attuali stime demografiche, il 37 per cento sono giovani con meno di 24 anni e il 48 per cento della popolazione ha tra i 25 e i 54 anni; appena il 13 per cento degli abitanti è rappresentato da over55. Alle prese con durissime condizioni economiche determinate anche dalle sanzioni internazionali, privati di prospettive lavorative e di progresso materiale, oltre la metà della popolazione chiede un cambio radicale ad un regime improntato ad una ideologia imposta 43 anni fa nella quale non si riconoscono.