Ottantotto persone sono state uccise, centinaia ferite e arrestate, il 30 settembre scorso a Zahedan, città del Belucistan scossa, come tante altre, dalle proteste di piazza iraniane delle ultime settimane. Le contrastanti versioni dei fatti.
I cortei di protesta contro il regime iraniano si sono trasformati in un bagno di sangue lo scorso venerdì (30 settembre 2022) a Zahedan, città del Belucistan al confine con il Pakistan e non lontana dall’Afghanistan. Ottantotto persone sono state uccise, centinaia ferite e arrestate, secondo l’Iran Human Watch, organizzazione per i diritti umani con sede in Norvegia.
Stavolta anche i media ufficiali iraniani, come le agenzie di stampa Irna e Tasnim, hanno parlato subito di decine di vittime e di “martiri”, un termine usato per indicare chi perde la vita difendendo la Nazione. Cosa dunque è successo nell’episodio che appare il più drammatico da quando è esplosa la protesta, il 16 settembre scorso, dopo la morte, per le percosse ricevute, di Mahsa Amini, la ragazza arrestata dalla polizia religiosa perché indossava il velo «in modo inappropriato»?
Zahedan è uno dei pochi centri urbani iraniani a maggioranza sunnita ed è la principale città di una regione inquieta, non solo perché è la più povera e maltrattata del Paese a causa del sunnismo delle minoranze baluci, ma anche perché nel suo deserto del Dash-e-Lut passano le rotte della droga e le strade dei terroristi dell’Isis, in movimento tra Iran, Pakistan e Afghanistan.
Secondo l’Irna, subito dopo la preghiera del venerdì, celebrata nella moschea sunnita, il corteo di protesta ha dato l’assalto alla vicina stazione di polizia, provocando «molti vittime innocenti» e «martirizzando» diversi poliziotti, tra cui il comandante della provincia del Belucistan e Sistan, Seyed Ali Mousavi, ucciso – secondo i media ufficiali del regime – a colpi di arma da fuoco. Sempre l’Irna e la Tasnim hanno riferito di saccheggi, di incendi e depredazioni di banche, negozi ed edifici statali, in una guerriglia proseguita per ore. La calma sarebbe poi ritornata ma, per precauzione, sono state chiuse le scuole di Zahedan e la frontiera con il Pakistan.
I pochi video e racconti, postati da chi partecipava alla manifestazione e filtrati in Occidente, raccontano una storia diversa. Una protesta era in programma dopo la preghiera del venerdì, ha riferito un testimone, Aref, all’emittente France24: gli slogan erano diretti, come in tutte gli altri villaggi e città dell’Iran, contro i vertici teocratici. A Zahedan, i manifestanti avevano tuttavia anche un motivo ulteriore di rancore: era da poco circolata la notizia che uno dei capi delle forze dell’ordine della regione avesse stuprato una ragazza arrestata nei giorni precedenti. Il corteo si è mosso verso la stazione della polizia. Alcuni giovani hanno cominciato a lanciare sassi contro l’edificio e gli agenti hanno risposto aprendo il fuoco in modo indiscriminato. A sparare sulla piazza si sono aggiunti contemporaneamente – è ancora la narrazione di Aref – cecchini appostati sui tetti, quasi si trattasse di una trappola predisposta. Si è capito subito che sarebbe stata una strage. Tra le tante vittime anche passanti, persino bambini, che si trovavano lì per caso. Alcuni video – la cui autenticità non è ancora verificabile – mostrano macabre file di morti, alcuni nell’abbigliamento tradizionale dei baluci, ricoperti dal sangue e deturpati dai colpi di arma da fuoco. Dopo la risposta brutale delle forze dell’ordine, i manifestanti si sono sparpagliati per la città, attaccando – ha raccontato ancora Aref all’emittente francese – altre stazioni di polizia e palazzi o luoghi simbolo del potere centrale.
Il regime accusa non meglio precisati «gruppi antirivoluzionari e nemici della Repubblica islamica» di «aver sfruttato i sentimenti e le emozioni dei giovani». Al di là della retorica ufficiale, è probabile che a Zahedan la protesta contro l’obbligo del velo e la teocrazia sciita, ancorata nei primi giorni saldamente ad una matrice laica, si sia intrecciata con la frustrazione profonda di una minoranza religiosa ed etnica, che vede la propria identità sunnita e baluci, soppressa dalle politiche di Teheran. Qualcosa di simile è accaduto in Kurdistan, regione di origine di Mahsa Amini, dove le proteste sono state più massicce e radicali, anche perché motivate da richieste indipendentiste, e dove la reazione del regime, con i bombardamenti delle basi dei curdi iraniani in Iraq, è stata più feroce che altrove.
A Zahedan è successo però qualcosa di inquietante, non solo per l’inaudita escalation di violenza. Nella zona si infiltrano infatti i miliziani dell’Isis e l’idea che possano tentare di impossessarsi delle proteste anti-regime, in questo angolo periferico dell’Iran, non piace a nessuno.