Le agenzie di stampa internazionali hanno battuto questa mattina la notizia: appellandosi al Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza tra Armenia e Russia, il Consiglio di sicurezza armeno ha chiesto aiuto a Mosca di fronte all’aggravamento della situazione al confine con l’Azerbaigian.
Secondo l’agenzia russa Tass, il governo armeno avrebbe intenzione di appellarsi anche al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per denunciare l’aggressione contro il proprio territorio.
I governi di Yerevan e Baku si accusano a vicenda di aver avviato nuovi scontri armati, con un numero imprecisato di morti e feriti su entrambi i fronti. L’Armenia sostiene che almeno 49 soldati sono stati uccisi negli scontri lungo il confine con l’Azerbaigian. Inoltre le città di confine di Jermuk, Goris e Kapan sono state bombardate nelle prime ore di martedì. Una «provocazione su larga scala» da parte di Baku, sostiene l’Armenia. L’Azerbaigian (che ha al suo fianco la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan, impegnata ad affermarsi come potenza regionale), a sua volta, ha accusato l’Armenia di aver sconfinato per attaccare alcune postazioni militari azere.
Cosa accadrà, se Mosca si farà coinvolgere su un fronte diverso da quello ucraino, è tutto da capire. Le forze russe hanno una base militare in Armenia; Mosca ha schierato al termine del sanguinoso conflitto del 2020 per il controllo del Nagorno-Karabakh circa 2 mila peacekeeper per monitorare la fragile tregua. Il bilancio della guerra che ha coinvolto Armenia e Azerbaigian due anni fa è stato in pochi mesi di oltre 6 mila vittime
Nella notte di ieri la Russia era riuscita a negoziare un cessate il fuoco, ma secondo fonti armene gli scontri sono ancora in corso su diversi fronti. Di qui la richiesta di aiuto a Mosca.
Oltre ai timori europei legati alle forniture di gas naturale (l’Unione europea si era rivolta nei mesi scorsi all’Azerbaigian per raddoppiare la fornitura di metano e alleggerire la dipendenza da Mosca), la recrudescenza del conflitto del Nagorno-Karabakh rischia di alterare in maniera significativa – forse irrimediabilmente – gli equilibri geopolitici del Caucaso meridionale.
Fin dalla sua indipendenza dall’Urss, l’Armenia ha sempre giocato una doppia partita: da una parte un accordo legato alla sicurezza con la Russia (il Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza, appunto), dall’altra il rapporto con l’Unione europea e l’Occidente, di cui gli armeni per storia e vocazione si sentono parte. Ricordiamo che l’Armenia è l’unica nazione cristiana in un contesto regionale di Paesi a maggioranza musulmana.
Questo equilibrio strategico è sempre stato difficile da mantenere. Da una parte il buon vicinato con Mosca, che non ha mai rinunciato a considerare Yerevan come «estero vicino», vale a dire «il cortile di casa». Dall’altro l’impegno a guardare al mondo libero e all’Europa come modello culturale e punto di approdo (anche per la giovane democrazia armena).
L’offensiva lanciata da Baku, guarda caso nello stesso giro di ore della riconquista ucraina di parte del territorio del Donbass, mira ad approfittare di un momento di difficoltà di Mosca per conquistare posizioni ulteriori nel Nagorno-Karabakh.
In questa situazione, Yerevan è stata obbligata a richiedere la protezione russa, di fatto abbandonando la politica di equilibrio strategico fin qui osservata, mettendosi anche contro gli interessi dell’Unione europea che sostiene invece l’Ucraina contro l’invasione di Mosca.
Oltre alle ripercussioni sul piano commerciale, con una chiusura dell’Armenia entro il perimetro delle Repubbliche ex-sovietiche, il rischio vero per Yerevan, dopo la riconquistata sovranità alla caduta dell’impero sovietico, è quella di trovarsi fianco a fianco di Mosca dalla parte sbagliata della storia.