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In Iran un’altra stagione di proteste e repressione

Elisa Pinna
26 settembre 2022
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In Iran un’altra stagione di proteste e repressione

La triste sorte di Mahsa Amini, morta il 16 settembre scorso mentre la ragazza era nelle mani della polizia religiosa, ha infiammato l'Iran e causato altre vittime. Le proteste continuano e il governo gioca la carta della repressione.


Ancora una volta il regime iraniano sceglie la linea dura, quella della repressione, contro le proteste spontanee, dilagate a macchia d’olio in tutto il Paese e innescate dalla morte in detenzione di Mahsa Amini (avvenuta il 16 settembre scorso), la ragazza catturata per strada dalla polizia religiosa di Teheran perché colpevole di indossare in modo inappropriato il velo islamico obbligatorio. La polizia non esita a sparare sui manifestanti e tra le nuove vittime finisce anche Hadis Najafi, la ventenne diventata famosa sui media occidentali, grazie a un video che la ritraeva alla guida di un corteo mentre si toglieva il velo e annodava i suoi capelli biondi in una coda. È morta sabato 24 settembre, aveva vent’anni. Del resto proprio ieri, 25 settembre, il presidente conservatore Ibrahim Raisi ha annunciato che il governo si muoverà con mano ancora più pesante contro chi provoca disordini o attacca le istituzioni e i simboli nazionali e dell’islam.

Manifestazioni in città grandi e piccole

È da dieci giorni che all’imbrunire, nei grandi e piccoli centri iraniani, migliaia di persone – per lo più giovani e donne – scendono in piazza, urlano la loro rabbia, il senso di frustrazione e tradimento per la brutalità indiscriminata e strutturale del potere, chiedono la fine del sistema teocratico e si scontrano violentemente con la polizia. Difficile riuscire a quantificare le dimensioni esatte della protesta. Internet funziona a singhiozzo e solo in alcune città. I contatti con l’Iran sono sporadici. Le notizie e i video messi in Rete non sono verificabili. Da frammenti di dichiarazioni ufficiali, si intuisce che la situazione è grave. Ci sono state vittime anche tra le forze dell’ordine (sabato, ne ha parlato il ministro dell’Interno visitando i feriti in ospedale); il numero dei morti tra i manifestanti sale di ora in ora nelle cifre che si rincorrono su Twitter, e gli arresti potrebbero essere nell’ordine delle migliaia, se solo nella provincia del Mazandaran (a nord di Teheran, sul Mar Caspio) la procura ha dichiarato un paio di giorni fa di aver aperto un procedimento contro 450 manifestanti finiti in carcere.

Il livello di scontro ricorda quello del 2019 quando – mentre era presidente il moderato Hassan Rouhani – la gente scese per le strade contro la sospensione dei sussidi per la benzina. Del resto, anche stavolta, il caso di Mahsa Amini appare il detonatore di una rivolta dove il malessere esistenziale, la paura di vivere in uno stato dove le forze poliziesche hanno poteri assoluti sui corpi delle persone, si intrecciano con la crisi economica, acuita dalle sanzioni internazionali, la povertà diffusa, la delusione per il fallimento del processo di apertura dell’Iran al mondo.

La vicenda di Mahsa Amini

La vicenda della sfortunata giovane, sicuramente non la prima e probabilmente non l’ultima vittima delle morti in carcere, si è svolta in modo rapido, spiazzante e pubblico. Mahsa, una ventiduenne di Saqqeh, un villaggio del Kurdistan iraniano, si trovava il 13 settembre a Teheran, insieme alla sua famiglia, in visita a parenti nella capitale. In Iran, tra le tante forze di controllo che fanno capo alla Guida Suprema Ali Khamenei, opera dal 2005 anche la Gast-e-Ershad , la cosiddetta polizia religiosa, un corpo di circa 60 mila uomini, che pattuglia le strade con pullmini bianco-blu e controlla che le persone si comportino secondo i canoni islamici: non solo il velo delle donne, ma anche eventuali stati di ubriacatezza o il rispetto del digiuno durante il Ramadan.

È una sorveglianza onnipresente e ossessiva che colpisce soprattutto le donne, in modo indiscriminato e casuale. Ci possono essere periodi politici di maggiore tolleranza (con il presidente moderato Rouhani bastava appoggiare il velo sulla nuca) ed altri di grande severità. Con la presidenza di Ebrahim Raisi (iniziata nell’agosto 2021) è stato firmato in agosto un decreto «hijab e castità» per rafforzare ulteriormente la polizia religiosa. Mahsa è stata fermata perché il suo velo non copriva la capigliatura e caricata sul pullmino dell’Ershad: già i questa fase alcuni testimoni hanno riferito di aver visto i poliziotti malmenare la ragazza. I suoi familiari hanno cominciato a cercarla e il fratello l’ha ritrovata poche ore dopo in ospedale, dove era in coma. Il giovane ha scattato foto alla sorella intubata: aveva sangue rappreso su un orecchio e le gambe piene di lividi.

Secondo i familiari, una Tac fatta in ospedale rivelava un’emorragia celebrale causata probabilmente da un forte colpo alla testa. Il 16 settembre Mahsa è morta, le sue foto sono apparse su Internet e sono cominciate le proteste. La reazione del regime è stata inizialmente di imbarazzo. Il presidente Raisi ha telefonato ai familiari, parlando di Mahsa come di una propria figlia e promettendo indagini accurate. Anche diversi giornali nazionali hanno pubblicato la notizia in prima pagina, aprendo un dibattito, con accenti coraggiosi, sull’abolizione o su una profonda riforma della polizia religiosa.

Parola d’ordine: Reprimere

Dopo l’iniziale sbandamento, il blocco più conservatore del regime si è però ricompattato. La polizia ha diffuso un video in cui si vede Mahsa nel centro di detenzione, subito dopo l’arresto, mentre assiste insieme ad altre ragazze ad una lezione di rieducazione sull’uso del velo. Mahsa ad un certo punto si alza e sviene. Il quotidiano Kayhan, l’organo ufficiale della Guida Suprema, afferma, commentando il filmato, che si è trattato di un infarto, che la ragazza non è stata percossa e le proteste fanno parte di un complotto internazionale contro la Repubblica islamica. Alla famiglia di Mahsa è stato imposto un funerale semiclandestino di notte. Misure che non hanno avuto effetti. La rivolta ha infiammato il Kurdistan iraniano e si è allargata al Paese.

Cosa potrà accadere adesso? A guardare i precedenti, ovvero le diverse rivolte che hanno accompagnato la storia post-rivoluzionaria iraniana – per tutte, la Rivoluzione Verde del 2009 – il finale da copione è quello del bagno di sangue e della repressione. Molti si aspettano che le proteste saranno soppresse con brutalità e che presto calerà sul Paese una nuova cappa di paura e immobilismo. Del resto il regime teocratico dispone di un corpo di mezzo milione di fedelissimi arruolati nei vari corpi armati speciali, in grado – ritengono i leader della Repubblica islamica – di tenere sotto controllo 84 milioni di persone.


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