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Il dramma siriano monta in taxi

Giulia Ceccutti
8 settembre 2022
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Il dramma siriano monta in taxi

Ce ne siamo quasi dimenticati, ma i siriani sono ancora avviluppati dalle spire mortifere della guerra scoppiata nel 2011. Le loro sorti vanno anzi peggiorando di giorno in giorno, come racconta il romanzo-verità di uno scrittore di origini palestinesi.


«Damasco, che ne è stato di te?»

La frase, che segna l’incipit di un capitolo, rappresenta l’essenza di questo libro. Non c’è pagina, infatti, che non esprima una profonda nostalgia per ciò che era la capitale siriana prima dell’«orribile, equivoca e ingarbugliata» guerra che la divora dal 2011.

L’autore del romanzo – nato a Damasco da una famiglia palestinese, con la quale ha vissuto nel campo rifugiati di Yarmuk – sceglie di raccontare i quartieri e le strade della sua città dal punto di vista di Ahmed, un tassista che porta in giro per la metropoli i clienti più disparati: uomini benestanti; una donna appena uscita di prigione, vittima di torture; giovani artisti senza mezzi ma carichi di entusiasmo; danzatrici del ventre; professionisti di passaggio tornati in Siria dopo anni; colleghi rimasti senza carburante… Un’umanità varia, accomunata da uno sguardo sul Paese spesso tra l’attonito e il malinconico.

Quartieri intatti, in cui tutto all’apparenza segue il suo corso abituale, si alternano a interi isolati devastati e irriconoscibili, non di rado solo a poche centinaia di metri di distanza. «Non si riesce quasi a credere che tali enormi differenze siano così vicine le une alle altre. Ma io le vedo quasi ogni giorno», è il commento amaro di Ahmed.

L’intento dell’autore è esplicitato sin dall’inizio: «Voglio dirvi subito che queste storie descrivono la vita quotidiana della gente di Damasco e del nostro Paese. (…) Questi episodi sono successi e continuano a succedere nella vita vera di tutti i giorni, in questa città massacrata, nella metropoli di questo Paese dilaniato e anche nelle regioni e città fuori dall’area di Damasco. I racconti dei clienti sono spesso quasi intollerabili. Ne sono pienamente consapevole. Ma desidero darvi un’impressione più esatta delle circostanze in cui i cittadini del nostro Paese devono vivere e con cui devono convivere giorno dopo giorno».

Sono flash, istantanee che – con l’aiuto delle numerose foto in bianco e nero inframmezzate al testo – portano davanti agli occhi del lettore scene quotidiane. Così si capisce davvero cosa sia la vita oggi in Siria: viaggiare in macchina tra il fetore acre di cumuli di macerie e detriti, con il rischio di forare una gomma (e non sapere come ripararla). Posti di blocco, barriere e controlli arbitrari che spuntano dal nulla, cambiando di continuo a seconda del gruppo che ha assunto il comando della zona, e che in genere intende solo riscuotere denaro da chi è costretto a passare di lì. La scarsità di carburante e il costante aumento dei prezzi, a cominciare da quello dei generi alimentari. Il groviglio di cavi elettrici abusivi sui pali della corrente.

E naturalmente, a pesare più di tutto, le ricadute psicologiche, che ben emergono dai dialoghi tra i personaggi: la disperazione di chi ha perso tutto, lo smarrimento degli anziani, il fallimento di matrimoni, i nervi a pezzi di donne e uomini, obbligati dagli eventi a mettere tutto in discussione e decisi solo a lasciare il Paese.

La vita, però, continua. Insieme alla voglia di guardare avanti. E così tra le persone colpite si registra, anche, la disponibilità a dare una mano: «Si intuisce che molti condividono lo stesso destino e le stesse esperienze e per questo ci si aiuta gli uni con gli altri volentieri, appena si può», spiega il protagonista. Si festeggiano i matrimoni tra musica, balli e tazze di tè, nel pieno rispetto della tradizione. Si coltivano i legami di amicizia.

In conclusione, trama e stile del libro sono senza dubbio semplici. Ma proprio per questo, forse, toccano il cuore. È impossibile, infatti, non tremare per il destino delle migliaia di orfani che vagano per le strade in cerca di cibo, stordendosi inalando colla o sostanze tossiche per tirare avanti («Un cliente una volta mi ha raccontato di alcuni bambini di Aleppo di appena sei anni che avevano tentato di suicidarsi. […] Avevano ingoiato il veleno per la paura di non riuscire a sopportare il prossimo bombardamento»).

Difficile non indignarsi di fronte a tanta distruzione, alla sofferenza di chi ha subìto torture, alla palese ingiustizia della corruzione e degli interessi economici – qui solo accennati – che sovrastano le esistenze.

Importante prendere consapevolezza e dare spazio alle parole di Ahmed: «Mi sostiene la speranza che questi tempi terribili prima o poi finiranno e che in questo Paese e in questa città, dopo la guerra e la pandemia, potremo ricostruire una vita normale».


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