Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Samira, la fotografa più forte delle carceri irachene

Manuela Borraccino
4 agosto 2022
email whatsapp whatsapp facebook twitter versione stampabile

La vita della 77enne fotografa Samira Mazaal è emblema della ricerca di libertà e di pluralismo dell’Iraq moderno. Uno studio famoso, due figli, anni di carcere e torture subite dai vari regimi le sono valsi la stima dei suoi connazionali.


«Contadini o intellettuali, nel corso degli ultimi sessant’anni i miei compaesani li ho fotografati tutti» racconta Samira Mazaal, 77 anni, celebre fotografa di Amarah, nella provincia meridionale irachena di Maysan. La storia di questa donna dal volto scavato incorniciato dall’hijab nero raccolta dall’agenzia France Presse rimbalza in questi giorni sulle homepage di moltissime testate internazionali. I suoi connazionali la considerano un simbolo vivente della sfida al patriarcato e alle convenzioni che ha perseguito per tutta la vita e rendono onore alla tempra che ha mostrato negli anni di carcere e di torture subite per il lavoro di documentazione portato avanti nel mezzo dei rivolgimenti che hanno interessato il Paese in oltre mezzo secolo.

Porte aperte nelle famiglie

«La fotografia è sempre stato il mestiere della mia famiglia, non avevamo altre occupazioni» racconta l’anziana professionista, che ha iniziato a fotografare a 16 anni: subito dopo che un intervento chirurgico sbagliato aveva reso cieco il padre, impedendogli di sfamare la famiglia. All’inizio usava dei fogli di rame argentato per un dagherrotipo ottocentesco, ma presto il padre vendette dei terreni per consentirle di acquistare un’attrezzatura più moderna.

Come spesso avviene alle rare fotografe dei Paesi islamici, si aprirono per lei gli spazi interni delle case, dove la vita domestica può esser condivisa con un estraneo solo se è donna. «Il mio studio conobbe un successo straordinario – ricorda Samira – perché, essendo una giovane donna, potevo fare delle foto di famiglia». Fu così avvantaggiata da una delle norme sociali tipiche di società così conservatrici: agli occhi di un capofamiglia maschio solo una donna poteva ritrarre mogli e figlie.

Le torture e il carcere

Samira ha anche pagato a caro prezzo la sua ingenuità da adolescente nell’avvicinarsi all’attivismo politico, sulle orme delle simpatie comuniste dei fratelli. Aveva 18 anni ed era all’inizio della carriera, mentre l’Iraq era sconvolto da lotte intestine. Dopo che nel febbraio 1963 il generale Abdel Salam Aref – già tra i protagonisti di un golpe nel 1958 – ebbe rovesciato il regime del generale Abdel Karim Kassem con un colpo di Stato ordito con i militari pan-arabisti e l’ala radicale del partito laico Baath, tre militanti comunisti avvicinarono Samira e le chiesero di produrre un poster da affiggere nelle strade contro il nuovo regime. «Non c’era un solo muro in tutta Amarah senza una copia del manifesto. Non fu un crimine: è una fonte di orgoglio» ricorda ancora oggi. Una sua foto di quel periodo, che lei stessa mostra con fierezza, la ritrae in ospedale dopo esser stata torturata in un edificio della città. «Urlavo così forte che pensavo che l’intera città sarebbe accorsa a salvarmi». Così non fu. Passò i quattro anni successivi, malata e abusata, in un carcere di Baghdad.

Liberata grazie a una campagna internazionale per il rilascio di vari prigionieri politici in Iraq, divenne madre di due figli. Nel 1981 venne nuovamente imprigionata, per un breve periodo, sotto il regime di Saddam Hussein. Dieci anni più tardi un altro arresto legato alle proteste per le ripercussioni della Guerra del Golfo dopo l’invasione irachena del Kuwait. Samira fu graziata pochi mesi dopo insieme ad altre detenute.

In piazza coi manifestanti

Oggi lo studio fotografico di Samira è ancora frequentato da tanti clienti e, malgrado l’età, lo spirito rivoluzionario di questa donna intrepida non si è spento. Nell’ottobre 2019 era in strada durante le manifestazioni di protesta inscenate dai giovani iracheni contro il carovita, la povertà e la mancanza di sicurezza che affliggono il Paese. «I giovani – chiosa – avrebbero dovuto trasformare il loro movimento in una rivoluzione di massa per sradicare la corruzione e i corrotti».

Turchia – nuova edizione
Paolo Bizzeti, Sabino Chialà

Turchia – nuova edizione

Chiese e monasteri di tradizione siriaca
Breve storia di Israele
Vincenzo Lopasso

Breve storia di Israele

Da Abramo alle origini della diaspora