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Vertice di Teheran, le spaccature della triade antioccidentale

Elisa Pinna
22 luglio 2022
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I leader di Russia e Turchia si sono incontrati il 19 luglio a Teheran, ospiti del regime iraniano. Sul tavolo della trilaterale, interessi economici, ma anche profonde contrapposizioni, dalla Siria al Caucaso.


Se la missione mediorientale del presidente statunitense Joe Biden ha raccolto magri successi, anche il quasi contemporaneo vertice trilaterale a Teheran fra il presidente russo Vladimir Putin, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, non ha brillato per i risultati sul piano diplomatico, anche se non sono mancati quelli sul terreno economico.

I media internazionali si sono focalizzati sulla questione delle esportazioni del grano ucraino, dove l’accordo appare raggiunto a seguito delle trattative tra Putin e Erdoğan. Ma sui temi regionali, oggetto dichiarato del vertice, la situazione è ancora di stallo: anzi, alle divergenze sulla Siria si è aggiunto un altro tema, potenzialmente molto destabilizzante, relativo al Caucaso meridionale.

La Siria, innanzitutto: dal 2016 Russia, Turchia e Iran, coinvolti politicamente e militarmente nel caos siriano, hanno dato vita al «processo di Astana», un tentativo di de-escalation del conflitto tenuto a battesimo nella capitale kazaka. In questa strana trilaterale, la Turchia, che è pur sempre un paese della Nato, ha sostenuto, finanziato e armato i ribelli anti-Assad e si trova di fronte Russia e Iran, che invece Assad lo hanno sostenuto e tuttora lo sorreggono, anche sul piano militare, e sono in rotta di collisione con la Nato o con gli Stati Uniti.

Nel vertice di Teheran dello scorso 19 luglio, Erdoğan si proponeva di ottenere luce verde per l’invasione di un’area nel nord della Siria, allo scopo di eliminarne i «terroristi curdi», creando una zona cuscinetto di circa trenta chilometri a protezione del confine turco.

L’ayatollah Khamenei ha però gelato il presidente turco, avvisandolo che «un attacco in Siria sarebbe dannoso per la Siria, la Turchia e la regione tutta». Il no iraniano è stato deciso e la faccia scura di Erdoğan nelle foto di gruppo è significativa. Se ne riparlerà però presto, nel prossimo incontro della trilaterale di Astana a Mosca.

La Siria non è il solo elemento che complica le relazioni tra Iran e Turchia. Altrettanto potenzialmente pericolosa è la questione del Caucaso. Va ricordato che nel 2020 l’Azerbaigian ha scatenato e vinto un breve, ma decisivo conflitto con l’Armenia, che ha rimesso in discussione gli equilibri della regione cristallizzati da più di venti anni.

Spalleggiato dalla Turchia e dalla Russia, e soprattutto armato di droni turchi Bayraktar TB2, l’Azerbaigian (di religione sciita, ma alleato di Ankara) ha letteralmente sbaragliato gli armeni (cristiani, ma storicamente legati all’Iran) e si è preso l’enclave armena del Nagorno-Karabakh. Ricordiamo che l’Azerbaigian è territorialmente diviso in due parti, separate dall’Armenia, e in una delle due parti si trovava questa enclave. Adesso, capitalizzando la vittoria militare, l’Azerbaigian ha annunciato che intende costruire, in territorio armeno, una strada per creare un collegamento tra le sue due parti: strada che passerebbe vicino al confine tra Armenia e Iran.

Il Corridoio di Zanzegur separa l’Azerbaigian dalla sua provincia del Nakhichevan e collega l’Armenia e Iran.

La striscia di territorio armeno in cui dovrebbe essere costruita l’arteria viaria, il «corridoio di Zanzegur», sarebbe di fatto controllata dagli azeri e creerebbe una barriera tra Armenia e Iran. Il governo armeno ovviamente si oppone e l’Azerbaigian ha già minacciato di ricorrere nuovamente alle armi. L’Iran ha cercato, dopo il 2020, di migliorare i propri rapporti con l’Azerbaigian, progettando anche un collegamento ferroviario per incrementare lo scambio di merci. Ma il corridoio di Zanzegur non è un’eventualità accettabile per Teheran.

L’ayatollah Khamenei ha detto con chiarezza ad Erdoğan (e attraverso lui all’Azerbaigian) che «la repubblica islamica è contraria in quanto questa frontiera è stata una via di collegamento e transito per migliaia di anni tra Iran e Armenia». Questa volta, par di capire, l’Armenia non si troverebbe da sola a fronteggiare un confronto armato con l’Azerbaigian.

Le contrapposizioni sul piano politico-diplomatico non hanno però scoraggiato gli affari. Erdoğan e il presidente iraniano Raisi hanno firmato otto accordi bilaterali, con l’intenzione di portare l’interscambio a 30 miliardi di dollari all’anno. In barba alle sanzioni occidentali, il presidente turco ha anche acquistato forniture di gas iraniano. Inoltre, i russi hanno firmato un memorandum di intesa con Teheran che prevede investimenti per 40 miliardi di dollari da parte della Gazprom nel giacimento iraniano di gas North Pars.

Smentendo le anticipazioni di fonti statunitensi, nessuno ha parlato di vendite di droni iraniani ai russi perché possano utilizzarli in Ucraina. Prima della trilaterale, il ministro degli Esteri iraniano aveva già spiegato al suo omologo di Kiev che quella notizia apparsa sui media occidentali era priva di fondamento. Gli ucraini – gli aveva detto in sostanza – non devono preoccuparsi dei droni iraniani. A differenza, vien da pensare, dei sauditi e degli israeliani.

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