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Violenze ai funerali di Shireen Abu Akleh, le Chiese contestano la polizia israeliana

Terrasanta.net
16 maggio 2022
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Violenze ai funerali di Shireen Abu Akleh, le Chiese contestano la polizia israeliana
La conferenza stampa convocata il 16 maggio a Gerusalemme dai capi delle Chiese e dai responsabili del St. Joseph Hospital per contestare la brutalità della polizia durante i funerali di Shireen Abu Akleh. (foto Olivier Fitoussi/Flash90)

Le autorità ecclesiastiche a Gerusalemme e la dirigenza del St. Joseph Hospital contro il brutale intervento della polizia in occasione dei funerali religiosi della giornalista palestinese uccisa l'11 maggio a Jenin.


Si protegge la testa dai colpi di manganello. Il giovane palestinese in maglietta grigia ne riceverà almeno dieci, per mano degli agenti della polizia israeliana, prima di lasciare andare l’angolo della bara che sta sostenendo con le braccia. Manca poco che il feretro si schianti a terra.

Queste immagini, girate nel cortile del St. Joseph Hospital di Gerusalemme venerdì 13 maggio, giorno dell’estremo saluto alla giornalista di Al Jazeera  Shireen Abu Akleh, uccisa l’11 maggio a Jenin, hanno fatto il giro del mondo.

Altri momenti di brutalità, ugualmente scioccanti, sono stati mostrati durante la conferenza stampa convocata nello stesso ospedale cattolico la mattina di lunedì 16 maggio. I capi delle Chiese di Gerusalemme e i dirigenti del nosocomio, noto anche come «l’ospedale francese», si sono dati appuntamento qui per esprimere il loro sgomento e condannare la violenza che ha macchiato il funerale religioso.

Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso anche gli agenti che facevano irruzione nell’Ospedale provocando il panico tra i pazienti. «Il loro obiettivo era chiaramente quello di invadere la struttura», ha denunciato Jamil Koussa, direttore del St. Joseph, sottolineando che gli scontri hanno provocato 13 feriti tra i palestinesi.

Unità e fermezza nella condanna

«Entrando in una struttura sanitaria cristiana, la polizia ha mancato di rispetto alla Chiesa, all’istituto in questione e alla memoria della defunta. La polizia israeliana ha fatto ricorso a un uso sproporzionato della forza. Il che costituisce una grave violazione delle norme e dei regolamenti internazionali, compreso il diritto umano fondamentale alla libertà di religione, che deve essere rispettato anche in uno spazio pubblico», ha sottolineato il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, leggendo un comunicato scritto a nome dell’ospedale e delle varie Chiese di Terra Santa. Molte erano rappresentate alla conferenza stampa. Tra gli altri c’erano il patriarca greco-ortodosso Theophilos III; fra Dobromir Jatzal ofm, vicario della Custodia di Terra Santa; mons. Yaser Al-Ayyash, vescovo greco-cattolico di Gerusalemme, oltre a rappresentanti delle Chiese copta, maronita e protestante. Anche molte suore della congregazione di San Giuseppe dell’Apparizione, che fondò l’ospedale nel 1954, sono giunte in segno di solidarietà, insieme con religiosi e religiose di diverse altre congregazioni.

L’ultima parte del comunicato stampa esprime bene il loro afflato: «L’Ospedale San Giuseppe è sempre stato fiero d’essere un luogo di incontro e di cura per tutti, indipendentemente dalle appartenenze religiose o culturali, e intende continuare ad esserlo. Quanto accaduto venerdì scorso ha ferito profondamente non solo la comunità cristiana, le suore di San Giuseppe dell’Apparizione, titolari dell’Ospedale, e l’intero personale ospedaliero, ma anche tutti coloro che in quel luogo hanno trovato e continuano a trovare pace e ospitalità. Le suore e il personale dell’ospedale St. Joseph manterranno il loro impegno ad essere un luogo di guarigione. Il tragico episodio di venerdì scorso rende questo impegno più forte che mai».

Gerusalemme, dalla Porta di Jaffa il feretro di Shireen Abu Akleh viene trasportato a braccia verso il cimetero greco-ortodosso situato sul monte Sion. (foto MAB/TSM)

La conferenza stampa mette in luce un’unità d’intenti e una fermezza che raramente si vedono nella condanna di un evento che assume anche valenze politiche. Avvalendosi di video di supporto, si è voluto replicato a tutte le argomentazioni messe in campo, a partire da venerdì, dalle autorità israeliane. Tramite comunicati stampa e tweet, esse hanno assicurato che «l’organizzazione del corteo funebre era stata coordinata in anticipo dalla polizia israeliana con la famiglia Abu Akleh».

Una versione smentita dai famigliari della giornalista uccisa. «Non c’è stato alcun coordinamento», ha detto Lina Abu Akleh, nipote di Shireen, a margine della conferenza stampa. «Mio padre li ha informati sugli accordi presi e sul percorso che avevamo pianificato di percorrere tra la Porta di Giaffa e il Monte Sion. La polizia aveva chiesto che non si sventolassero bandiere e non si cantassero slogan, oltre a una stima del numero dei partecipanti (al corteo funebre)». «Ho replicato che non avrei potuto esercitare un simile controllo sul funerale», ha riferito domenica al giornale digitale The Times of Israel Anton Abu Akleh, l’unico fratello di Shireen. «Il funerale aveva una valenza nazionale, per tutta la Palestina».

Le cariche della polizia, poco chiari i perché

La polizia ha affermato: «300 agitatori sono arrivati al St. Joseph Hospital di Gerusalemme e hanno impedito ai membri della famiglia di caricare la bara sul carro funebre per recarsi al cimitero. Durante i tafferugli indotti dalla folla, sono state lanciate bottiglie di vetro e altri oggetti, ferendo sia le persone in lutto sia gli agenti di polizia».

I video mostrano un cordone di polizia ai cancelli dell’ospedale mentre la folla cerca di portare fuori il feretro a spalle, cantando slogan e sventolando bandiere palestinesi. Una prima carica sospinge indietro di diversi metri i portatori della bara e la folla. Si vedono oggetti, probabilmente bottiglie d’acqua, volare in direzione dei poliziotti. La seconda carica – a colpi di sfollagente – è rivolta direttamente a coloro che reggono il feretro.

È difficile spiegare questo attacco. «L’ufficiale di polizia mi ha detto che fintanto che c’erano slogan e bandiere non avremmo potuto uscire di un solo centimetro», dice Jamil Koussa, direttore del St. Joseph.

Il carro funebre nei pressi della piccola cattedrale melchita nel quartiere cristiano di Gerusalemme vecchia. (foto MAB/TSM)

La famiglia aveva programmato di trasportare la salma nel centro storico con un carro funebre, parcheggiato all’ingresso dell’ospedale. Alcuni partecipanti hanno voluto fare una processione a piedi. Anton Abu Akleh ha negato fermamente, in un’intervista rilasciata all’agenzia France Presse, che la bara sia stata strappata alla famiglia con la forza. «È vero che hanno camminato un po’. Ma per portare le spoglie al carro funebre, che era nei pressi in attesa della bara», ha detto il fratello di Shireen.

Preghiera spontanea tra cristiani e musulmani

Riguardo ai «300 rivoltosi» citati dalla polizia, diversi testimoni hanno evocato «la calma e la dignità» in cui si è svolta la prima parte della mattinata al St. Joseph.

«Sono rimasto colpito da quel momento di preghiera spontanea che ha unito giovani palestinesi cristiani e musulmani», afferma padre Luc Pareydt, gesuita e consigliere religioso del console generale di Francia a Gerusalemme, René Trocaz, entrambi recatisi sul posto venerdì mattina per assicurarsi che tutto procedesse bene. Al consolato generale di Francia a Gerusalemme si parla di «costernazione» in reazione ai fatti accaduti in un ospedale che è posto sotto la sua protezione.

«Volevano mettere a tacere Shireen sin dal primo giorno – denuncia Lina, sua nipote – ed anche durante il suo funerale hanno cercato di impedire che fosse onorata. Non capivano cosa significasse, non solo per i palestinesi, ma per il mondo intero».

Clicca qui per un servizio video del  Christian Media Center

 


La cronaca dei funerali

Un’immagine vale più di mille parole. Quella della folla ammassata davanti alla Porta di Giaffa, questo venerdì 13 maggio a Gerusalemme, in attesa della bara della giornalista Shireen Abu Akleh, racconta l’attaccamento di un popolo a colei che era considerata «la voce della Palestina».

La giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, una cristiana palestinese di Gerusalemme, è stata colpita alla testa mentre copriva i raid dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, una città nel nord della Cisgiordania, mercoledì mattina 11 maggio. La donna è stata uccisa benché indossasse un giubbotto antiproiettile con la scritta Press e un casco. I palestinesi sono venuti a decine di migliaia per dirle addio. Ma neppure al suo funerale, la violenza ha potuto fare a meno di affacciarsi.

Gli scontri sono scoppiati, in particolare, nel primo pomeriggio all’ospedale St. Joseph, dove il giorno prima era giunto il feretro della giornalista dopo un primo funerale di Stato svoltosi a Ramallah. L’idea era di portare la bara in corteo da questa zona nel quartiere di Sheikh Jarrah alla città vecchia. Di fronte al rifiuto categorico della polizia, che non ha esitato a caricare la folla facendo quasi cadere la bara, si decide finalmente di trasportarla con il carro funebre.

Scene violente, riprese dall’emittente Al Jazeera. Altri video mostrano la polizia che usa i cannoni ad acqua per scacciare i manifestanti radunati lungo la Strada 60.

Manifesti con il volto della giornalista uccisa affissi in molti luoghi abitati dalla popolazione palestinese. (foto MAB/TSM)

Contemporaneamente, nel centro storico, un cordone di polizia sbarra l’ingresso alla via del patriarcato greco-cattolico, dove si trova la cattedrale melchita che ha ospita le esequie religiose. «L’esercito israeliano chiede alle persone se sono cristiane o musulmane. Se sei musulmano, non puoi entrare», spiega Younès dopo essere stato respinto. Questo quarantenne musulmano è venuto appositamente dal nord di Israele per la sepoltura: «Conoscevamo tutti Shireen – dice –. Era il volto noto che per 25 anni ha raccontato il conflitto e le intifada. Ed è morta raccontando cosa sta succedendo a Jenin. Per noi è diventata un simbolo della Palestina, indipendentemente dal fatto che si sia musulmani o cristiani».

Ghirlande e manifesti con il suo volto sono stati appesi per le strade. Un ultimo omaggio che assume un sapore amaro quando uno dei manifesti viene bandito dalla polizia: contiene versi del poeta palestinese Mahmoud Darwish che menzionano la parola «Palestina».

Emozione e orgoglio

Il carro funebre varca la Porta di Giaffa poco dopo le due del pomeriggio e si dirige verso la cattedrale greco-cattolica accompagnato degli slogan urlati dalla folla: «La nostra vita e il nostro sangue sono per te, o martire», «Musulmani e cristiani, tutti insieme per Shireen». La chiesa è affollata. Partecipano all’ultimo viaggio della giornalista anche rappresentanti diplomatici di diversi Paesi. Ci sono pure vari deputati arabi alla Knesset, il parlamento israeliano: Ayman Odeh, del partito di sinistra Hadash, e Ahmad Tibi, presidente del partito Ta’al, oltre a Vera Baboun, ex sindaco di Betlemme, città di cui è originaria la famiglia Abu Akleh. Monsignor Michel Sabbah, patriarca latino emerito di Gerusalemme, è presente con una delegazione del Patriarcato. C’è anche una dozzina di francescani della Custodia di Terra Santa, oltre a membri delle Chiese armena, greco-ortodossa e luterana.

Eccezionalmente, il patriarca greco-ortodosso Theophilos III entra in una chiesa greco-cattolica infrangendo quasi un tabù, durante il rito funebre presieduto dal vescovo melchita Yasser Ayyash.

Al cimitiero melchita del monte Sion l’estremo omaggio a Shireen prima della sepoltura. (foto Cécile Lemoine/TSM)

Un’ora dopo, la bara lascia la chiesa attorniata da un’imponente ondata umana che fluisce verso il cimitero greco-ortodosso, situato sul monte Sion. Gli scout aprono il corteo con la fanfara. Alcuni giovani abbattono le bandiere israeliane che trovano lungo il percorso. Subito vengono fermati dalla polizia di stanza nelle vicinanze.

Tante le emozioni sui volti, alcuni dei quali rigati di lacrime. Ovunque si scorge l’orgoglio, effimero, di poter sfilare così a Gerusalemme, con le bandiere palestinesi al vento. Sebbene non sia illegale sventolare una bandiera palestinese in Israele, la pratica è spesso severamente repressa dalla polizia, che la rende quasi impossibile.

Un uomo appende alcune bandiere nella via del Patriarcato greco-cattolico a Gerusalemme, 16 maggio 2022. (foto Cécile Lemoine/TSM)

L’arrivo al cimitero assume un tono più raccolto e silenzioso. Niente più canzoni e slogan. La calma è disturbata solo dal rumore delle pale di un elicottero che dall’alto segue gli eventi. La bara viene sepolta. Applausi di cuore. Un ultimo canto.

Sono appena le 16. Le campane di Gerusalemme iniziano a suonare. Per la prima volta all’unisono.

(testi a cura della redazione di  Terresainte.net)

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