Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Accogliere nel cuore una nuova esistenza

fra Matteo Brena *
2 maggio 2022
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Accogliere nel cuore una nuova esistenza
Robert Bateman, La piscina di Betesda, 1877, Yale Center for British Art, New Haven, Usa

Ogni guarigione fisica è vana se non si ha la volontà di vivere da guariti. Ma, con altro sguardo rivolto al futuro, è possibile passare dall’infermità al discepolato per una comunità capace di generare relazioni fraterne e inclusive.


Le guarigioni operate da Gesù sono eventi straordinari, che hanno suscitato negli uomini del suo tempo grande meraviglia e che gli evangelisti definiscono nei loro racconti come «potenze» ossia opere potenti o portenti, «segni» in quanto simboli di realtà più profonde e a volte anche «miracoli» (thaumàsia) da cui deriva il termine «taumaturgo», ossia «operatore di cose meravigliose».

Nei vangeli per indicare la guarigione di uomini paralitici o immobilizzati da altre infermità viene utilizzato il termine greco egeiro che indica il ritorno alla vita, il risvegliarsi, il destarsi dalla morte, l’elevarsi, innalzarsi. Questo termine ha sempre un legame con la risurrezione, in particolare con quella di Gesù.

Nel racconto del Vangelo di Giovanni (5,1-8), presso la piscina di Betesda in Gerusalemme ogni giorno sotto i portici si ammassava un gran numero di ammalati e d’infermi, ma fra i tanti Gesù fu attratto da un uomo che giaceva paralizzato da una vita («da trentotto anni»). Infatti il numero trentotto indica la durata di una generazione e secondo l’interpretazione dei padri della Chiesa è il simbolo di quella generazione che non giunse alla terra promessa perché ribelle, incredula e ostinata, incapace di fidarsi di Dio e per questo incapace di sperimentarne l’amore e la misericordia. Pur vivendo immobilizzato nel suo giaciglio, l’uomo non aveva perso la speranza nella guarigione divina, ma alla domanda di Gesù: «Vuoi essere guarito?» l’uomo non ha risposto con un sì, ma con una lamentazione ha denunciato che pur esistendo la possibilità della guarigione, a lui era negata poiché a suo giudizio nessuno lo aiutava ad arrivare primo all’acqua.

Il breve dialogo tra i due fa capire che la paralisi dell’uomo avvicinato da Gesù oltre ad essere fisica è soprattutto interiore e questa porta a dare un’errata lettura della realtà, nella quale non solo gli altri malati sono percepiti quasi come dei rivali, ma impedisce anche di accogliere la domanda esistenziale che il Maestro pone.

Anziché assecondare il lamento di quell’uomo, che avrebbe aspirato ad essere aiutato ad immergersi prima degli altri «nella piscina quando l’acqua si agita», con un imperativo Gesù gli dice: «Alzati, prendi la tua barella e cammina». Quell’uomo che prima giaceva infermo accogliendo l’invito di Gesù attua una vera e propria risurrezione alla vita, sia biologica che interiore, il cui segno è proprio la capacità di prendere la barella e tornare a casa sulle proprie gambe.

La domanda di Gesù riguardo alla volontà di guarire è di capitale importanza e porta in sé una verità: ogni guarigione fisica è vana se non si ha la volontà di vivere da guariti. Nella nostra vita possono avvenire cambiamenti fisici e ambientali o addirittura dei miracoli, ma è essenziale che il cuore sia pronto ad accogliere la novità che significano, ovvero la chiamata a un’esistenza diversa da ciò che era prima.

Il verbo greco egeiro, accolto e legato alla potenza della Parola, crea nella vita di quell’infermo una netta frattura con la vita precedente e inaugura una nuova vita che è immagine della futura risurrezione di Gesù.

Il guarito è invitato ad alzarsi, con la sua barella che è memento di ciò che era, e a muoversi in uno status nuovo che è quello del guarito, che richiede di affrontare le sfide della vita di ogni giorno e di desiderare un approccio diverso al futuro.

Ma non è facile né scontato accogliere questo verbo di movimento. I racconti testimoniano che anche Francesco d’Assisi nella sua giovinezza era paralizzato dalle false immagini di felicità proposte dal mondo e non riusciva ad abbracciare la vita piena. Solo grazie al sogno di Spoleto e al conseguente cambio di prospettive e all’abbraccio con il lebbroso fuori dalle mura di Assisi, l’uomo Francesco ha iniziato la nuova esistenza del guarito. Forte di questa esperienza, il suo annuncio evangelico si è fatto via via più forte e ha raggiunto gli infermi del suo tempo (e della storia) affascinando e coinvolgendo in questo annuncio molti altri suoi contemporanei.

L’imperativo «Alzati» porta con sé quindi due provocazioni: innanzitutto ci chiama ad assumere e desiderare lo status del guarito o della vita del risorto, che è colui che ha compiuto un movimento dal basso verso l’alto. Poi ci chiama a ripeterlo e ridonarlo a qualcun altro, diventando così veri discepoli capaci di vivere relazioni fraterne e inclusive senza le quali rischiamo di soffocare anche le espressioni più belle della fede.

(* Commissario di Terra Santa per la Toscana)

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