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Terre incolte nel Medio Oriente a corto di grano

Fulvio Scaglione
1 aprile 2022
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La guerra scatenata in Ucraina dall'invasione russa riduce di molto la disponibilità di grano sul mercato internazionale. Rischio fame e rivolte in Medio Oriente. Dove si potrebbe coltivare molto di più, se ci fosse acqua.


L’invasione russa dell’Ucraina, e la guerra che non accenna a placarsi, rischiano – come abbiamo già riferito su Terrasanta.net – di creare un pericoloso allarme-cibo in Medio Oriente. Sono in molti, ormai, a lanciare l’allarme. Qualche esempio. Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc, o Wto), ha sottolineato: «C’è un aumento globale del prezzo del cibo e del carburante, le spese più importanti per i poveri in tutto il mondo. Se non troviamo un rimedio, potrebbero iniziare “rivolte della fame” simili a quelle degli anni 2000». Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il 21 marzo scorso si è incontrato a Sharm al-Sheikh con il premier israeliano Naftali Bennett e con Mohammed bin Zayed, principe ereditario e uomo forte degli Emirati Arabi Uniti, proprio per discutere di un’eventuale crisi alimentare nella regione.

I dati parlano chiaro. Un gigante come l’Egitto dipende, nelle sue importazioni di grano, per il 54 per cento dalla Russia e per il 14 per cento dall’Ucraina. Il Libano per il 52 per cento dalla Russia. La Siria finge di non avere problemi nei rifornimenti dalla Russia ma intanto il governo ha razionato il grano. Russia e Ucraina insieme producono il 25 per cento del grano commercializzato nel mondo. E se la Russia pensa a limitare le esportazioni per rispondere alle sanzioni e proteggere i consumi interni (l’ha già fatto con lo zucchero e con i fertilizzanti), l’Ucraina ha problemi ancora più drammatici derivanti dall’occupazione o la devastazione di una parte del territorio, dove proprio in queste settimane sarebbe dovuta cominciare la semina. Per non parlare dei problemi logistici.

Gli approvvigionamenti del Medio Oriente dipendono in gran parte dal traffico navale sul Mar Nero e dal buon funzionamento di porti come quelli ucraini Mariupol’ e Odessa, ora bloccati dal conflitto. I governi del Medio Oriente si incontrano e si mobilitano non solo per il benessere dei propri cittadini ma anche perché, proprio come accennato dalla Okonjo-Iweala, temono una riedizione delle “Primavere arabe” del 2011, che non a caso furono precedute da cicli di siccità e dal brusco rialzo del prezzo del cibo. Hanno ragione di preoccuparsi, anche perché la guerra in Ucraina rischia di far precipitare una situazione tesa già da anni a causa delle avverse condizioni climatiche, delle guerre e della pandemia: dal 2018 a oggi, ci spiega l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione (Fao), il prezzo del cibo è cresciuto del 40 per cento.

Sullo sfondo, ovviamente, uno dei soliti squilibri strutturali del Medio Oriente, che il Gruppo arabo per la protezione della natura così riassume: in Medio Oriente ci sono circa 200 milioni di ettari di terre coltivabili ma solo il 30 per cento è in effetti coltivato. E le contese tra Stato e Stato per l’acqua, diventata un’arma strategica come il gas o il petrolio, sono solo uno dei principali ostacoli. E mentre fino alla prima metà del Novecento quasi tutti i Paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord erano autosufficienti quanto a grano e cereali, sono poi bastati pochi anni per renderli tutti dipendenti dalle importazioni, con una popolazione sempre crescente e una produzione sempre calante. Oggi qualunque scossone nei mercati internazionali può metterli in crisi. Tanto più una guerra tra due dei maggiori produttori mondiali.

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