Il primo ministro israeliano Naftali Bennett lo ha detto chiaro e tondo il 30 marzo scorso ai suoi connazionali, commentando il succedersi di attentati terroristici mortali nei giorni precedenti: «Chiunque sia titolare di un regolare porto d’armi vada in giro armato». Tutti stiano, comunque, con gli occhi bene aperti e in allerta davanti a potenziali minacce.
Il premier ha sfondato porte aperte. Secondo i media nazionali, sul finire di marzo le richieste di porto d’armi in Israele si sono impennate giorno dopo giorno.
Solo il 31 marzo – stando ai dati forniti dal ministero della Pubblica sicurezza – sono state presentate 1.773 richieste di porto d’armi, contro una media di 60 al giorno nei periodi di relativa normalità. La curva era in ascesa da giorni.
Sul territorio israeliano le norme in materia consentono il rilascio del porto d’armi a chi sia in grado di dimostrare un’esigenza di sicurezza particolarmente alta. Una volta ottenuta la licenza, il suo titolare può dotarsi di una sola pistola, e di 50 proiettili. Deve inoltre recarsi a un poligono di tiro per un addestramento obbligatorio all’uso dell’arma.
Già nel 2021 le richieste di porto d’armi sono state superiori rispetto a quelle del recente passato: 19.375, contro una media annua di 9.600 nel periodo precedente. Il numero complessivo di privati cittadini titolari di licenza l’anno scorso ha raggiunto la cifra di 148.617. Nel 2009 se ne contavano parecchi in più: 185mila.
Detto ciò, chi è stato in Terra Santa anche solo come pellegrino non ha potuto fare a meno di notare giovani o adulti in abiti civili con fucili e mitragliette a tracolla. Si tratta in genere di militari in servizio, o della riserva, o di abitanti degli insediamenti ebraici nei Territori Palestinesi di Cisgiordania, ai quali le autorità israeliane consentono di armarsi più pesantemente. (g.s.)