Nel 2020, l’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu promise al presidente Vladimir Putin che la Russia avrebbe potuto rientrare in possesso del complesso della chiesa ortodossa russa Alexander Nevsky, nel cuore di Gerusalemme vecchia. Il tutto è costituito dalla chiesa, da un museo e da alcuni resti archeologici, in particolare dall’ex basilica costantiniana del Santo Sepolcro. Il sito ospita anche La Soglia della Porta del giudizio, vale a dire la soglia di un’antica porta delle mura cittadine, che Gesù avrebbe varcato, secondo la tradizione ortodossa, mentre veniva condotto al Golgota, dove lo avrebbero crocifisso.
Auspicando che il trasferimento di proprietà possa concretizzarsi «immediatamente», il presidente russo ha voluto premere sull’acceleratore. Tramite lettera – ha riferito nei giorni scorsi Ynetnews (la versione elettronica del quotidiano israelianoYedioth Ahronoth) – si è rivolto al primo ministro di Israele, Naftali Bennett, chiedendo che la proprietà ortodossa situata nel quartiere cristiano della città vecchia di Gerusalemme in prossimità del Santo Sepolcro, sia prontamente ed effettivamente consegnata alla Russia.
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La promessa fatta due anni fa da Benjamin Netanyahu faceva parte di una serie di gesti più o meno formali volti ad agevolare la scarcerazione di Naama Issachar, un israeliano detenuto in Russia per traffico di droga. Poco dopo l’annuncio dell’ex primo ministro, il commissario del catasto israeliano indicò il governo russo come proprietario della citata chiesa.
Una promessa imbarazzante
Il principio che ha ispirato la decisione è questo: dal momento che la Federazione Russa è stata riconosciuta dalle organizzazioni internazionali e da Israele come «Stato successore» dell’Impero russo la proprietà non doveva essere registrata a nome di nessun altra organizzazione collegata con il governo imperiale russo, ormai tramontato.
Lo scorso marzo, però, un giudice del tribunale distrettuale di Gerusalemme ha sospeso il trasferimento di proprietà allo Stato russo dopo le obiezioni e i ricorsi presentati dalla Società imperiale ortodossa palestinese – non sottoposta al controllo del Cremlino – che ha mantenuto il possesso dell’edificio fino al 2020.
Il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha deferito ogni decisione al governo israeliano stesso, alla luce di un’ordinanza firmata da Benjamin Netanyahu, a suo tempo, in cui si designava il complesso come «luogo santo». Appreso il pronunciamento del tribunale, Putin si è affrettato a contattare Naftali Bennett per chiedergli di onorare la promessa del suo predecessore.
Una promessa che, nel contesto geopolitico attuale, si rivela piuttosto imbarazzante. Perché va notato che la lettera di Putin non nasce dal nulla. Sullo sfondo c’è il vivo disappunto espresso da Mosca dopo che Israele, con le parole del ministro degli Esteri Yair Lapid, ha condannato il massacro di civili nella città ucraina di Bucha e ha appoggiato la sospensione della Russia dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
In equilibrio tra Russia e Ucraina
Prese di posizioni che si discostano, almeno in parte, dalla neutralità israeliana manifestata durante le prime settimane dell’invasione russa in Ucraina, nell’intendo di non offendere né l’alleato russo, condannandolo, né l’amico ucraino, al quale tuttavia Israele rifiuta la fornitura di armamenti. Non va dimenticato che lo Stato ebraico è ormai casa per 1,1 milioni di abitanti dell’ex Unione Sovietica, la maggior parte dei quali è immigrata all’inizio degli anni Novanta. Tra costoro 400mila sarebbero di lingua russa e 400mila di lingua ucraina.
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Detto ciò, sappiamo che dal 2005 ad oggi Putin ha lavorato per recuperare, una ad una, tutte le proprietà russe acquisite dal suo Paese in Terra Santa nel corso del Diciannovesimo secolo. È a quel periodo che risale la prima istituzione russa nella Palestina ottomana, la Missione ecclesiastica russa a Gerusalemme fondata nel 1847 e seguita dalla Società imperiale ortodossa palestinese nel 1882. Sotto il regno di Alessandro II, la Russia zarista ottenne proprietà molto grandi nella Città Santa e iniziò a costruirvi edifici. In un documento di lavoro del 1949, la Commissione di conciliazione delle Nazioni Unite per la Palestina elencava nove proprietà a Gerusalemme come appartenenti alla Società imperiale ortodossa palestinese, tra cui la Corte Sergei e la Corte Alexander (cioè l’edificio di cui stiamo parlando), nonché terreni e siti nell’area del Getsemani e sulle pendici del Monte degli Ulivi.
Quando la rivoluzione del 1917 segnò la fine del regno degli zar e la nascita dell’Unione Sovietica, si determinò anche una scissione interna alla Chiesa con la creazione della Chiesa ortodossa russa anticomunista all’estero. La «Chiesa Bianca» degli zar mantenne il controllo delle istituzioni ecclesiastiche in Palestina e Gerusalemme. Mentre il Patriarcato di Mosca – la «Chiesa Rossa» soggetta ai governi comunisti – recuperò, in cambio dell’immediato riconoscimento dello Stato d’Israele al momento della sua creazione, tutte le proprietà ecclesiastiche russe sul territorio dello Stato ebraico.
Il contesto delle ultime settimane – con la guerra in Ucraina e le sanzioni internazionali varate dai governi occidentali contro Mosca – non aiuta Israele a rendere la proprietà alla Russia. Così, secondo gli osservatori, il passaggio di proprietà del complesso ecclesiastico in prossimità del Santo Sepolcro rischia di creare seri problemi diplomatici a Israele, che spera ancora di potersi mantenere in equilibrio tra Ucraina e Russia.
Tutti rimangono consapevoli, intanto, di quanto sia necessario il tacito sostegno russo per poter continuare i raid aerei israeliani contro le basi iraniane in Siria, dove Mosca mantiene la sua presenza militare.