I libanesi vanno alle urne in maggio. Su un migliaio di candidati poco più del 10 per cento sono donne, molti i giovani. Il Paese ha bisogno di riforme urgenti, ma è essenziale il sostegno internazionale, in primo luogo quello europeo.
Sono 1.043 i candidati, fra i quali 155 donne, che il prossimo 15 maggio si presenteranno al giudizio dei quasi quattro milioni di elettori libanesi per il rinnovo dei 128 membri del Parlamento, equamente divisi fra musulmani e cristiani. Dalla lettura delle liste chiuse lo scorso 15 marzo emerge il numero di giovani candidati e di indipendenti in corsa. Sono 88 solo quelli fra i 25 e i 35 anni secondo le analisi del centro di ricerca Information International con sede a Beirut, che sottolinea come il numero dei candidati sia più alto, e più diffuso in varie parti del Libano, che nelle precedenti elezioni.
Economia in caduta libera
Le legislative sono in programma per il 6, 7 e 8 maggio per i libanesi residenti all’estero e il 15 maggio in patria. Si tratta della prima consultazione elettorale dopo le violente proteste di piazza scoppiate nell’ottobre 2019 contro il caro vita e il progressivo deterioramento delle condizioni finanziarie e sociali nel Paese. Negli ultimi due anni, con un peggioramento dopo l’esplosione nel porto di Beirut del 4 agosto 2020 che ha sostanzialmente distrutto il principale snodo dei commerci libanesi, il valore della valuta nazionale è precipitato dal cambio ufficiale di 1.500 lire libanesi per un dollaro fino a quota 25.000. Con l’aumento dell’inflazione e il crollo del potere d’acquisto per la maggior parte delle famiglie (anche a causa di risparmi depositati in banche ora prive di liquidità) si calcola che l’80 per cento della popolazione viva oggi in povertà, mentre stanno finendo le riserve di carburante e scarseggiano i medicinali.
«Sogniamo una Beirut liberata dalle armi»
«Ho dodici anni di esperienza nel settore pubblico e mi sono candidata perché ho un progetto per la città che amo» ha raccontato Racha Itani, 35enne architetto di Beirut, alla testata Al Monitor. «I beirutini stanno soffrendo molte ingiustizie ed è per questo che molti sono andati a vivere fuori: vogliamo liberarci da ogni influenza politica – ha detto – e demilitarizzare Beirut: per avere sicurezza dovremmo liberare la città dall’attuale circolazione di armi. Il secondo tema è quello economico e consiste in un piano per creare opportunità di lavoro a Beirut. Il terzo è sociale e riguarda il recupero dei soldi rubati ai residenti e la riduzione dell’inquinamento».
Riforme in cantiere contro il settarismo
Tra le maggiori richieste che si levano dalle piazze oltre a quelle dei beni primari figurano la riforma del sistema sanitario e di quello scolastico per impedire che i politici attraverso la divisione settaria controllino la popolazione, la riforma del sistema bancario e di quello giudiziario anche per arrivare fino in fondo all’inchiesta sui responsabili dell’esplosione del porto di Beirut che ha assestato il colpo di grazia alla traballante economia libanese.
«Il Libano è sull’orlo del baratro: i sei partiti politici prevalenti nel Paese – spiega in questo breve documentario l’analista Heiko Wimmen, direttore per l’Iraq, la Siria e il Libano di un progetto di ricerca dell’International Crisis Group – stanno raschiando il fondo del barile con le ultime risorse a disposizione, dalle riserve straniere nella banca centrale alle richieste di prestiti a destra e a manca: un po’ di soldi dalla Banca mondiale, qualcosa dal Fondo monetario internazionale servono sostanzialmente a mantenere in funzione le istituzioni a un livello molto basso. Si cerca di fornire tra le sei e le dieci ore di elettricità al giorno alla gente e pagare almeno i salari e qualche bonus ai dipendenti pubblici per frenare l’assenteismo o la fuga all’estero e preparare le elezioni».
Un ruolo cruciale per l’Ue?
Nell’ottobre scorso un rapporto dell’International Crisis Group sottolineava come l’implosione economica stia aumentando l’instabilità del Libano: «L’ordine pubblico è sempre più precario – avvertono gli analisti – mentre le istituzioni statali si indeboliscono e le forze dell’ordine rischiano di sfaldarsi nella più grave crisi dalla nascita del Paese». Ecco perché – incalzano – gli attori esterni ed in primis l’Unione europea «dovrebbero sostenere gli sforzi di riforma mentre forniscono aiuti umanitari, aiutare a mantenere in funzione le infrastrutture cruciali del paese e assistere le forze di sicurezza. Dovrebbero soprattutto impedire ai partiti politici di sopprimere le proteste e di boicottare i tentativi di accertare le responsabilità sulle falle della vita pubblica e politica libanese: le elezioni devono svolgersi in tempo e secondo standard internazionali».
Oggi, però, l’Europa è alle prese con la grave crisi russo-ucraina. Avrà occhi per guardare altrove?