Indifese, esposte alla povertà e alla violenza, costrette ad occupare i vuoti sociali e lavorativi lasciati dagli uomini: la condizione delle siriane in patria e all’estero in un dossier della Caritas Italiana.
Donne che combattono e che resistono. Dall’Ucraina alla Siria, non è tempo di festeggiamenti per le vittime più fragili dei conflitti. La Caritas Italiana dedica un dossier speciale alle donne a due anni dall’inizio della pandemia che ha provocato un ulteriore inasprimento del divario di genere: la loro è la condizione più vulnerabile nelle guerre che le vedono lottare per la sopravvivenza propria e dei loro figli, mentre gli uomini sono andati a combattere oppure sono fuggiti per sottrarsi all’arruolamento.
Un particolare focus del dossier (alle pagine 13-16) è dedicato alla Siria, dove il 15 marzo ricorre l’undicesimo anniversario delle proteste a Dera’a che, di fatto, segnarono l’inizio della distruzione del Paese. Il conflitto – che non si è mai concluso, benché gli scontri armati avvengano oggi a minore intensità – ha provocato oltre 500 mila vittime, 6 milioni e mezzo di profughi e altrettanti sfollati interni. A costoro si sommano 13 milioni e 380 mila persone che solo in Siria versano in stato di bisogno umanitario (erano poco più di 11 milioni del 2020), a causa della povertà dilagante, come conseguenza della guerra e della pandemia di coronavirus, a cui si devono sommare le ricadute della gravissima crisi finanziaria che ha colpito il Libano. Il 90 per cento della popolazione siriana vive ormai sotto la soglia di povertà e la Siria, secondo le valutazioni del Forum economico mondiale, è uno dei luoghi peggiori al mondo in cui nascere per una donna, come conferma il 152esimo posto su 156 Paesi considerati nel Global Gender Gap Report 2021.
Netto peggioramento dell’assistenza sanitaria
Nelle 36 pagine del rapporto, che cita le ricerche sul campo compiute da associazioni di donne siriane come Women Now for Development (un’organizzazione che si occupa di rilanciare la partecipazione femminile ai tavoli della politica e dei processi di pace) e di collettivi di associazioni della società civile siriana come We Exist!, emerge come la pandemia abbia aumentato i livelli di insicurezza per le donne in tutto il Paese, dove manca una regia per il monitoraggio del contagio e della distribuzione dei vaccini e dove ospedali e strutture sanitarie sono stati presi di mira dai vari attori del conflitto. «Almeno 34 degli attacchi che hanno avuto luogo tra il 2014 e il 2017 – si legge – erano diretti a strutture specializzate nell’assistenza sanitaria per donne o bambini. Nel febbraio 2020 è stato colpito un ospedale materno-infantile, l’ultimo nosocomio operativo nella parte occidentale di Aleppo, al servizio di una popolazione di oltre 300mila persone». Anche il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) ha riferito di un peggioramento delle condizioni della salute riproduttiva e materna dopo l’assalto turco alla Siria nord-orientale. Molte donne provenienti dalla zona di Idlib preferiscono evitare l’ospedale proprio per paura dei bombardamenti.
Pandemia e guerra strangolano l’economia
In un sondaggio effettuato dalle associazioni tra le donne sfollate residenti a Idlib e nelle zone rurali di Aleppo, si legge ancora, il 67 per cento delle donne intervistate ha dichiarato di non avere un reddito fisso e che la situazione è peggiorata durante la pandemia a causa della perdita di mezzi di sussistenza, dell’aumento dei prezzi del cibo e di altri beni essenziali e delle restrizioni alla mobilità. Il 71 per cento delle donne ha segnalato la necessità di fare scorte di cibo, ma solo il 39 per cento è stato in grado di farlo.
Aumento della violenza di genere
Le restrizioni alla mobilità poi, come in molti altri Paesi, hanno causato un incremento della violenza di genere che procede di pari passo con la battuta d’arresto nel percorso di partecipazione e rappresentanza politica femminile in Siria. Nel luglio 2021, ha denunciato il Consiglio delle donne dell’amministrazione autonoma della Siria nord-orientale, la violenza contro le donne è nettamente aumentata nel nord-est della Siria: in questa zona amministrata dai curdi ma dove si trovano gran parte dei campi profughi di ex militanti dell’Isis e loro mogli e figli, nei primi sei mesi del 2021 si sono registrati oltre 650 casi di violenza contro le donne fra omicidi, abusi, stupri, matrimoni precoci.
Rilanciare la partecipazione femminile
Secondo le attiviste di Women Now è più che mai necessario «evitare il declassamento della questione femminile nella sfera politica: perché è una profonda ingiustizia che la guerra e il Covid-19 condannino ulteriormente le siriane a una condizione di subalternità al genere maschile, considerando oltretutto che la Siria sta diventando “un Paese di sole donne”». Per quanto l’aiuto umanitario continui a essere prioritario, «è necessario aumentare i finanziamenti a sostegno dei gruppi femminili locali per non porre in secondo piano gli sforzi per una maggiore uguaglianza di genere, della giustizia e partecipazione»: è più importante che mai sostenere l’attivismo e l’inclusione politica femminile visto che le donne saranno attori chiave necessari per gestire e uscire dalla crisi.