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La puntata di Bennett sulla roulette di Putin

Manuela Borraccino
7 marzo 2022
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La puntata di Bennett sulla roulette di Putin
In questo scatto d'archivio, faccia a faccia tra il primo ministro israeliano Naftali Bennett e il presidente russo Vladimir Putin a Mosca nell'ottobre 2021. (foto Kobi Gideon/GPO Israel)

Il premier israeliano Naftali Bennett ha tentato di aprire un varco con i colloqui a Mosca e a Berlino pur sapendo di avere scarse possibilità di successo. Intanto lo Stato ebraico si prepara al possibile arrivo di 200mila profughi ucraini.


I negoziati con l’Iran per un nuovo accordo sul nucleare alle battute finali a Vienna; la presenza delle truppe russe da otto anni in Siria che ha mitigato l’influenza iraniana sul regime di Bashar al-Assad; la sorte di almeno 200mila ucraini di origine ebraica che potrebbero cercare rifugio in Israele. Ci sarebbero tutte queste componenti nel tentativo di mediazione sfociato nel colloquio di tre ore, sabato 5 marzo, tra il presidente russo Vladimir Putin e il premier israeliano Naftali Bennett, primo leader ad incontrare di persona il capo del Cremlino da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina.

Nulla finora è trapelato sul contenuto dei colloqui, le cui probabilità di successo erano molto scarse. Ma il silenzio di Bennett nel condannare Putin stava creando una crescente irritazione nell’alleato americano e una posizione moralmente insostenibile anche per gli stretti rapporti esistenti fra lo Stato ebraico e l’Ucraina, il cui presidente Volodymyr Zelenskyj è ebreo e ha criticato lo scarso sostegno ricevuto da Israele.

Potrebbero arrivare 200mila ucraini

Dall’Ucraina, oltre a Golda Meir e a Vladimir Jabotinsky, solo per citare due figure di primo piano nella fondazione dello Stato di Israele, sono emigrati 40mila ebrei dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, altri 30mila fra il 2014 e il 2018 in seguito all’annessione della Crimea e all’occupazione del Donbass. Nei soli primi 11 giorni di conflitto quasi 10mila ucraini hanno chiesto asilo in Israele. Proprio ieri la ministra dell’Interno Ayelet Shaked ha tuonato che «il 90 per cento dei 2.034 ucraini giunti in Israele negli ultimi giorni non sono ebrei» e che «un così imponente flusso di profughi non può continuare». Meno di 200 infatti avrebbero i requisiti per acquisire la cittadinanza israeliana sulla base della Legge del Ritorno, che la garantisce a chiunque possa dimostrare di avere almeno un nonno ebreo. «A questo ritmo diventeranno 15mila in un mese: lo Stato di Israele – ha detto deve fare di più per far arrivare qui gli ebrei. C’è bisogno di molta più pianificazione: ci prepariamo ad accogliere 100mila ebrei russi ed ucraini che nei prossimi mesi potrebbero diventare cittadini israeliani». Secondo le stime del quotidiano Haaretz sarebbero almeno 200mila i cittadini ucraini, inclusi i 70mila formalmente ebrei, che avrebbero i requisiti per immigrare in Israele e ricevere la cittadinanza.

Fino ad oggi solo un quinto dei profughi ucraini ha pagato la cauzione per l’equivalente di circa 2.800 euro richiesta dall’Autorità per l’immigrazione a chi dimostra di avere un familiare in Israele e che dichiari di lasciare il Paese entro un mese (degli attuali 26mila ucraini non cittadini israeliani la metà è privo di visto di ingresso). La rigidità delle autorità dello Stato ebraico ha provocato la dura reazione dell’ambasciata ucraina e dello stesso ministro della Diaspora Nachman Shai che ha chiesto di abolire la cauzione definendola «inumana e immorale».

I timori sull’accordo con l’Iran

Restano i motivi che hanno reso Bennett estremamente cauto nel criticare Putin, pur avendo votato a favore della risoluzione di condanna dell’Onu. Secondo i diplomatici britannici e francesi presenti ai colloqui di Vienna sotto l’egida dell’Onu l’accordo con l’Iran sarebbe «imminente» e le delegazioni avrebbero fretta di concludere e far incontrare gli Usa e l’Iran (che finora non si sono parlati vis-a-vis per il rifiuto di Teheran) perché la guerra in corso in Ucraina pone crescenti ostacoli al dialogo di Stati Uniti e nazioni europee con la Russia.

Libertà di azione (congiunta) nei cieli della Siria

Oltre al timore israeliano sull’accordo con l’Iran, pesa il debito contratto con Putin in Siria. «L’unico modo in cui Israele può portare avanti i suoi attacchi aerei sugli obiettivi iraniani in Siria – commenta l’analista ed ex ambasciatore Usa in Israele Martin Indik in un recente articolo apparso su Foreign Affairsè che la Russia chiuda un occhio sulla violazione di Israele dello spazio aereo siriano: è questo il motivo per cui l’ex premier israeliano Netanyahu è andato dieci volte in Russia a baciare l’anello di Putin tra il 2015 e il 2020, incassare la collaborazione del presidente russo e assicurarsi che le operazioni aeree russe ed israeliane in Siria non si disturbino a vicenda». Impegni che Bennett si è affrettato a ribadire nella visita al Cremlino dell’ottobre scorso e in quella di sabato.

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