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In Israele accoglienza solo per ucraini ebrei?

Giorgio Bernardelli
21 marzo 2022
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Tredicimila ucraini hanno scelto Israele come rifugio dall’invasione russa, ma l’accoglienza di profughi tocca un nervo scoperto nel Paese e accende polemiche contro l'ipotesi di mettere un tetto all'arrivo di ucraini non ebrei.


Mentre il premier Naftali Bennett sperimenta tutte le difficoltà del suo tentativo di mediazione tra Russia e Ucraina e la politica israeliana discute sull’accostamento alla «soluzione finale» che il premier ucraino Volodymyr Zelensky ha proposto nel suo discorso in collegamento con i parlamentari della Knesset, il tema che più spacca oggi Israele è la questione della risposta umanitaria ai profughi ucraini che bussano alle porte del Paese. Ed è un problema che – ancora una volta – pone la domanda su che tipo di nazione aspiri ad essere davvero Israele.

La questione è particolarmente delicata perché va a intrecciarsi con la storia recente e il tema dell’identità ebraica. Tra il milione di «russi» che negli anni Novanta, alla caduta dell’Unione Sovietica, immigrarono in Israele avvalendosi della legge del Ritorno – la norma del 1951 che assicura automaticamente il diritto di cittadinanza in Israele a chi ha almeno una nonna o un nonno ebreo – c’erano anche migliaia di ucraini. Un fatto che non stupisce, se si pensa alla storia del Paese che ospitava una delle più folte comunità ebraiche dell’Europa dell’est e che nel 1941 visse la tragedia di Babij Jar, uno dei più sanguinosi massacri compiuti dai nazisti.

Con una folta comunità presente in Israele ormai da trent’anni, dunque, è facilmente comprensibile perché molti ucraini – al momento di individuare una via di fuga dal proprio Paese gettato nella guerra dall’invasione russa – abbiano scelto proprio Israele come meta. Questo flusso di profughi, però, è andato a toccare un nervo scoperto: se infatti da una parte i politici israeliani si sono subito mobilitati per l’accoglienza degli olim, gli ebrei ucraini che hanno diritto alla cittadinanza nel Paese, molto più incerto è l’atteggiamento verso tutti gli altri profughi provenienti da Kiev. Israele ha infatti maglie strettissime nella concessione del diritto di asilo e una legge che non ammette la presenza di un’immigrazione «straniera» se non come forza lavoro temporanea. La domanda, dunque, è subito diventata: come comportarsi con una famiglia ucraina che non è ebrea, ma cerca rifugio in Israele perché un parente più o meno lontano già vi abita avendo ottenuto il diritto di cittadinanza ai sensi della legge del Ritorno?

Dallo scoppio della guerra sono arrivati in Israele circa 13mila ucraini, di cui per ora solo 3.500 godrebbero del diritto alla cittadinanza ai sensi della legge del Ritorno. Nel caos vi sono stati pure 275 cittadini ucraini che si sono visti rifiutare l’ingresso nel Paese. Va aggiunto, comunque, che – come mostrano i dati – la stragrande maggioranza degli esuli è stata accolta. Ora si discute su quale debba essere la loro sorte. La questione è nelle mani della ministra dell’Interno Ayelet Shaked, che è la numero 2 di Yamina, il partito di Bennett, e che proprio della lotta all’immigrazione «illegale» (quella principalmente dei richiedenti asilo africani provenienti da Paesi come Sudan o Eritrea) ha sempre fatto uno dei suoi cavalli di battaglia.

Nei giorni scorsi – mettendo le mani avanti sul fatto che Israele «non può accogliere tutti» e deve dare priorità agli ebrei ucraini che aspirano a immigrare e potrebbero diventare «fino a 100mila» – Shaked ha ipotizzato un tetto di 25mila permessi temporanei per richiedenti asilo ucraini non ebrei. Un numero che, nei fatti, è però molto più contenuto rispetto a quanto sembri: in Israele, infatti, già prima dell’inizio della guerra vivevano «illegalmente» circa 20mila ucraini, che verrebbero ora in qualche modo «regolarizzati». Tenendo dunque presente questo, nelle intenzioni del ministero dell’Interno vi sarebbe posto solo per circa 5.000 nuovi esuli, molti meno rispetto a quelli che di fatto sono già entrati nel Paese.

L’annuncio di Ayelet Shaked ha suscitato vive polemiche nell’opinione pubblica, con alcune associazioni che hanno già presentato un ricorso alla Corte suprema, pur essendo nel governo israeliano la discussione sull’argomento ancora aperta. In favore dell’accoglienza si è espresso in queste ultime ore anche lo scrittore David Grossman: «Siamo una nazione nata da rifugiati – ha dichiarato in un’intervista televisiva –. In questi momenti non si possono fare calcoli: Israele deve fare tutto quello che può per il bene di queste persone». Intanto la questione in settimana dovrebbe tornare sul tavolo del governo. Bennett da parte sua ha dichiarato che Israele deve «bilanciare l’umanità con gli interessi nazionali, ma non rimanderà indietro nessuno in un’area di conflitto».

Clicca qui per leggere l’articolo di al Monitor sul piano di Ayelet Shaked

Clicca qui per leggere l’intervista di David Grossman su The Times of Israel

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