Miseria, distruzione del tessuto sociale, esodo dei giovani più istruiti: sono le tre “bombe” che dilaniano la Siria secondo il nunzio apostolico a Damasco, cardinal Mario Zenari, intervenuto oggi (11 marzo 2022) in collegamento da Damasco insieme al giornalista Lorenzo Trombetta in un webinar promosso dalla Caritas Italiana sul tema Siria, 11 anni dopo.
Un appuntamento promosso in vista dell’undicesimo anniversario – che ricorre il prossimo 15 marzo – delle proteste a Dera’a che fecero da innesco al conflitto. Oggi risultano almeno 12 milioni e 400mila siriani in stato di insicurezza alimentare, mentre un altro milione e 300mila sono quelli con gravi carenze alimentari. Gli sfollati interni 6 milioni e 800mila, stando alle stime diffuse dalle Nazioni Unite lo scorso 25 febbraio. Complessivamente almeno 14 milioni e 600mila persone dipendono dall’assistenza umanitaria, il 9 per cento in più del 2021 e il 32 per cento in più del 2020. A dimostrazione del fatto che la situazione non va migliorando, ma anzi precipita.
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«Nessuno come noi vicini ai fratelli ucraini»
I numeri rendono solo in parte ragione dell’assassinio di un Paese che fino al 2011 era considerato un bastione della sicurezza regionale. «Le immagini del bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol di due giorni fa e il pensiero della fame che si avvicina per i nostri fratelli ucraini – ha detto il cardinal Zenari – risvegliano l’angoscia per la tragedia che viviamo da undici anni in Siria, dove la metà degli ospedali sono stati messi fuori uso dalle parti in conflitto e in questi giorni si vedono file interminabili per comprare pane a prezzi calmierati, perché a causa della guerra in Ucraina non si trova più farina. Prego e spero che a nessun altro tocchi questo inferno in cui è piombata la Siria, con una crisi definita la più grave catastrofe provocata dall’uomo dopo la Seconda guerra mondiale».
«Crisi del Libano colpo ulteriore per la Siria»
Oggi, ha proseguito Zenari, non si odono più razzi come quello che all’alba del 5 novembre 2013 cadde sul tetto della nunziatura apostolica, per fortuna senza provocare vittime, ma almeno altre tre “bombe” altrettanto distruttive compromettono il futuro della Siria. «La prima – ha detto – è la povertà dilagante che colpisce il 90 per cento della popolazione; non si trovano pezzi di ricambio, manca quasi tutto e non è possibile riparare le minime attrezzature se si rompono. Le sanzioni imposte al regime e la crisi del sistema bancario e finanziario libanese hanno inferto ulteriori colpi al Paese. La seconda, e ancora più pericolosa, bomba è quella dei danni irreparabili inferti nel cuore delle persone. Forse fra qualche anno edifici e villaggi rasi al suolo potranno essere ricostruiti; ma quanti anni ci vorranno per ricucire il tessuto sociale e guarire le ferite psicologiche delle persone? Mai si era vista così tanta violenza da parte dei bambini nelle nostre scuole cristiane come in questi ultimi anni. Un’altra bomba sociale è l’esodo, soprattutto quella dei giovani qualificati: non si trova più un tecnico per riparare un pc, un elettrodomestico, un ascensore. I più istruiti sono partiti tutti. Una società senza giovani è una catastrofe».
L’esodo dei cristiani è una ferita enorme
La guerra, ha aggiunto il porporato 76enne, da 14 anni rappresentante del Papa a Damasco, ha ferito profondamente le Chiese orientali. «Si calcola che i due terzi dei cristiani abbiano lasciato la Siria, e non solo per le persecuzioni scatenate dall’Isis, ma perché nei conflitti i gruppi minoritari sono sempre l’anello più debole della catena e vivono le situazioni più difficili. Per queste Chiese – ha rimarcato – la perdita dei fedeli è una ferita insanabile perché, una volta che partono, si disperdono in Europa o in Sud-America o in Canada o in Australia e andranno ad alimentare la propria fede nella Chiesa latina, non torneranno più ai loro riti. La partenza dei cristiani è una ferita per la stessa società siriana perché i cristiani con la loro mentalità universale e aperta sono una finestra sul mondo per tutta la società. E questo perché i cristiani hanno sempre costituito un fattore di moderazione e di coesione con il loro contributo fondamentale nell’istruzione con le scuole, nella sanità con gli ospedali, nella politica e negli anni dell’indipendenza con statisti del calibro di Fares al-Khoury (1877-1962)». Un’altra ferita enorme è poi quella dei desaparecidos, con tutte le sofferenze che questo provoca in decine di migliaia di famiglie. «Non ci sono dati precisi, ma alcune fonti parlano addirittura di 100mila persone scomparse o sequestrate dall’una o dall’altra delle parti in conflitto: fra di loro anche cinque ecclesiastici tra i quali l’italiano padre Paolo dall’Oglio».
Incontro delle Chiese dal 15 al 17 marzo a Damasco
Di tutto questo si parlerà nella Conferenza di Damasco in programma da martedì 15 a giovedì 17 marzo, proposta lo scorso ottobre durante la visita in Siria del prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, il cardinale Leonardo Sandri. Parteciperanno il nunzio, i patriarchi e i vescovi delle Chiese cattoliche presenti in Siria, ma complessivamente sono previste 200 persone, tra le quali anche rappresentanti degli organismi e associazioni più coinvolti nelle iniziative a sostegno delle comunità cristiane del Medio Oriente (compresi quelli che partecipano come membri stabili alla Riunione delle opere per aiuto alle Chiese orientali – R0aco).
Trombetta: «La frammentazione della Siria fa comodo a tutti»
Lorenzo Trombetta – corrispondente dell’Ansa da Beirut ed uno dei massimi esperti italiani sulla storia della Siria contemporanea, ora in libreria con il saggio Negoziazione e potere in Medio Oriente. Alle radici dei conflitti in Siria e dintorni (Mondadori, 2022) – ha mostrato come la Siria sia oggi smembrata in diverse zone in parte controllate da Damasco con l’ausilio della Russia e dell’Iran, in parte dalla Turchia, in parte dai curdi e in parte da Gran Bretagna e Francia (nelle zone di confine con la Turchia e con la Giordania). «I colloqui di pace? Formalmente sono ancora in piedi sia ad Astana con la mediazione della Russia sia a Ginevra con quella dell’Onu, ma non stanno portando da nessuna parte perché una Siria divisa e frammentata fa comodo a tutte le potenze presenti oggi sul suolo siriano. Non che l’inviato dell’Onu Geir Pedersen abbia abdicato al suo incarico, ma deve far i conti con quel che avviene sul terreno. Dal 2015 la Russia ha fatto in modo, più o meno informalmente, che l’Iran fosse presente ai negoziati come attore militare e da quel momento – ha spiegato – l’Onu è stata più che spettatrice che attore, come si è visto negli anni del durissimo assedio di Aleppo. Ad Astana quello che è in corso è di fatto un processo di spartizione fra Turchia, Iran e Russia: questa è ancora oggi l’iniziativa sul campo. Quanto all’Onu, la carta da giocare è stata quella della modifica della Costituzione ed elezione di un Comitato costituente con un processo di selezione che è esso stesso viziato da criteri opachi fra membri del regime, delle opposizioni e della cosiddetta società civile. Certamente un tavolo per la pace deve essere disponibile da qualche parte, ma quando saranno maturi i tempi per dei veri negoziati è difficile prevederlo».