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Gerusalemme, stop al passaggio di un bene ortodosso alla Russia

Christophe Lafontaine
8 marzo 2022
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Gerusalemme, stop al passaggio di un bene ortodosso alla Russia
Il complesso della chiesa di Alexander Nevskij a Gerusalemme, nei pressi del Santo Sepolcro. (foto Moataz T. Egbaria / Wikimedia Commons)

Il 3 marzo un tribunale di Gerusalemme ha bloccato il trasferimento alla Russia di una proprietà ortodossa nella città vecchia che risale al tempo degli zar. La parola passa al governo israeliano.


Il verdetto è stato emesso in seguito a un ricorso della Società imperiale ortodossa di Palestina, che ancora fino al 2020 possedeva l’importante complesso della chiesa ortodossa russa di Alexander Nevskij nella Città Vecchia di Gerusalemme. Ma il trasferimento di proprietà a vantaggio della Russia è stato sospeso la scorsa settimana con una decisione del tribunale, rendendo questo caso una vera «patata bollente» che passa nelle mani del governo di Naftali Bennett, nel bel mezzo del conflitto russo-ucraino.

La chiesa in questione, intitolata a un santo della Chiesa ortodossa, principe guerriero del XIII secolo famoso per le sue vittorie contro gli svedesi e l’Ordine teutonico, è anche conosciuta con il nome di «corte di Alessandro» con gli edifici che lo circondano, tra cui un museo e resti archeologici, in particolare quelli dell’ex basilica costantiniana del Santo Sepolcro. Inoltre, il sito ospita «la Soglia della Porta del Giudizio», soglia di un’antica porta delle mura cittadine, attraverso la quale, secondo la tradizione ortodossa, Gesù sarebbe passato prima di essere crocifisso sul Golgota. La corte di Alessandro, situata nel cuore del Quartiere cristiano, dista solo un centinaio di metri dalla basilica del Santo Sepolcro.

>>> Guarda anche il video: La porta del giudizio

Il sito nel suo insieme è considerato la proprietà russa più significativa nella città vecchia di Gerusalemme. Nel 1859 lo zar Alessandro II acquistò il terreno su cui fu edificata la chiesa pochi anni dopo, alla fine del XIX secolo. In origine il complesso doveva ospitare un consolato e una casa di accoglienza per i pellegrini, poi allestita al di fuori delle mura.

Una disputa vecchia di un secolo

In epoca ottomana la proprietà era registrata a nome del governo imperiale russo. Gestita dalla Società imperiale ortodossa di Palestina, rimase sotto il controllo imperiale fino alla rivoluzione comunista del 1917. La disputa sulla proprietà della corte di Alessandro iniziò in quel tempo: da allora due organizzazioni con nomi molto simili hanno rivendicato la proprietà del complesso: la Società imperiale ortodossa di Palestina, fondata nel 1882 dopo l’approvazione dello zar Alessandro III e che ha gestito il complesso sin dalla sua costruzione, e la Società imperiale russa ortodosso-palestinese, considerata vicina al Cremlino e al presidente Vladimir Putin.

Per più di un decennio, il Cremlino ha costantemente esercitato pressioni per rivendicare il titolo del complesso. Nel 2015, l’allora primo ministro russo Dimitri Medvedev ha lanciato un richiesta ufficiale allo Stato di Israele, cercando di porre fine all’incertezza e regolare la proprietà del complesso.

Le cose hanno preso una svolta quando, secondo la stampa israeliana, nel 2020 l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu ha accettato di consegnare la chiesa alla Russia, in cambio – molto probabilmente, ma all’epoca non trapelò nulla di ufficiale – del rilascio di Naama Issachar, un’israeliana che era stata incarcerata durante uno scalo a Mosca con l’accusa di traffico di droga. Il catasto israeliano annunciò che la proprietà della chiesa sarebbe stata registrata sotto il nome del governo russo.

Un luogo dichiarato santo

La Società imperiale ortodossa di Palestina ha mosso molte obiezioni a questo trasferimento di proprietà. Il commissario del catasto aveva risposto che la Federazione russa era stata riconosciuta da organismi internazionali e dallo Stato di Israele come «Stato successore» dell’Impero russo e che la proprietà non doveva essere registrata per conto di organizzazioni che rappresentano il governo imperiale russo, che non esiste più.

La Società ha quindi fatto appello e giovedì 3 marzo il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha deciso di annullare il trasferimento della chiesa alla Russia e di deferire la questione al governo israeliano, stabilendo che, poiché Benjamin Netanyahu aveva designato in un’ordinanza la corte di Alessandro come «luogo santo», l’unico organismo autorizzato a decidere nel merito è il governo israeliano. Il giudice del tribunale distrettuale di Gerusalemme si è basato sulla legge del Mandato britannico che conferisce al governo la competenza nel redimere le controversie sulla proprietà dei luoghi santi.

Per la diplomazia, tempi sbagliati

Il primo ministro Bennett, che ha preso il posto di Netanyahu, nel luglio 2021 ha istituito un comitato ministeriale sulla questione, ma che non si è mai riunito. Composto dal ministro per l’Edilizia Zeev Elkin, da quello del Turismo Yoel Razvozov e dal ministro per gli Affari religiosi Matan Kahana, il gruppo non ha altra scelta se non decidere sulla questione della proprietà. La tempistica non potrebbe essere peggiore per Israele. Finora, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Israele ha prima giocato la carta della neutralità, prima di cercare di posizionarsi come mediatore, visti gli stretti legami che lo Stato ebraico intrattiene con Kiev e Mosca.

Il governo israeliano, che già teme che Putin limiti la libertà del sue forze armate di agire contro obiettivi iraniani in Siria (dove la Russia mantiene una presenza militare), sa che deve stare attento a non creare una crisi diplomatica con Mosca, ritirando il «dono» della chiesa di Alexander Nevskij fatto a Putin. Se la questione delle scadenze non è chiara per il momento, il calendario diplomatico in Ucraina, come in Siria, è estremamente delicato.

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