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Tra satira e saponi, le siriane creano lavoro a Idlib

Manuela Borraccino
5 febbraio 2022
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Riparano telefonini, disegnano vignette satiriche, producono sapone vegetale. Nella provincia di Idlib decine di donne siriane, vedove o ex detenute nelle carceri governative, mantengono così le proprie famiglie.


Si va dal laboratorio di riparazione dei cellulari alle vignettiste che lavorano per testate locali, fino alla cooperativa artigiana Olfar Soap, dove venti madri single producono il rinomato sapone di Aleppo. Sono solo alcuni fra i tentativi di dare vita a nuove attività lavorative nella provincia siriana nord-occidentale di Idlib – ultima roccaforte delle milizie islamiste di Hayat Tahrir al-Sham fuori dal controllo di Damasco – da parte delle migliaia di siriane divenute capifamiglia, costrette a riempire i vuoti lavorativi lasciati dagli uomini andati a combattere. In questa zona al confine tra Siria e Turchia dove vivono quasi 3 milioni di siriani fra residenti e sfollati interni è avvenuto tra l’altro, il 3 febbraio, il raid degli Stati Uniti contro il capo dell’Isis Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi, che secondo alcune ricostruzioni si sarebbe fatto esplodere uccidendo mogli e figli.

Nelle vignette dolori e speranze di chi vive a Idlib

L’esperimento più sorprendente è quello di alcune giovani grafiche che hanno iniziato a lavorare come vignettiste per testate locali di Idlib. Sebbene l’arte della caricatura sia sempre stata riservata agli uomini anche per i rischi legati alla satira in un regime come quello siriano, molte giovani hanno coraggiosamente intrapreso questa professione per informare sulle sofferenze quotidiane, sulle preoccupazioni e le speranze di chi vive nell’ultima provincia siriana dominata dai ribelli. «Ho iniziato a disegnare da piccolissima e ho appreso l’arte delle vignette attraverso dei corsi su YouTube» racconta la 23enne Nermin Shaar.

La giovane ammette che si tratta di «un’arte pericolosa» nel suo Paese e sa bene che ci sono linee rosse che non può superare per non mettere nei guai sé stessa e la propria famiglia. Ma rimarca con forza il valore sociale di questa professione in qualsiasi società che aspiri ad essere democratica e informata. «Amo l’arte delle vignette e della satira – ha detto al quotidiano Al Monitor – perché tocca corde sensibili, contribuisce al controllo del potere ed esprime le preoccupazioni della gente comune in un modo che attira l’attenzione: sono convinta che possa avere un grande impatto sulla realtà e sul provocare dei cambiamenti». Una sfida che vale la pena raccogliere malgrado le aggressioni subite negli anni scorsi da diversi colleghi come Hadeel Ismail e come conferma la caricaturista Amany Al-ali.

Sapone di Aleppo per ricominciare

Sono note in tutto il mondo le proprietà lenitive del sapone di Aleppo, conosciuto anche come sapone di alloro, sapone siriano o sapone di ghar (alloro in siriano). In quest’area, destinazione di moltissime sfollate interne sole con figli, alcune sono entrate nelle scuole materne e nelle organizzazioni umanitarie, altre prive di titoli di studio sono andate a lavorare nell’agricoltura e altre ancora hanno cercato di imparare un mestiere per arrivare alla fine del mese. «Nessuna di noi ha una laurea o qualifiche che ci consentirebbero di lavorare nella scuola o in un altro ambito: questa fabbrica di sapone ha risposto alle nostre esigenze di creare un progetto alla nostra portata e che ci permettesse di sbarcare il lunario» racconta Mariam Daeef, vedova con cinque figli, una delle venti lavoratrici che hanno dato vita all’azienda Olfar Soap nella città di Maaret Misrin a nord di Idlib. Un progetto avviato un anno fa e che è sembrato fin dall’inizio fattibile. La materia prima in questo caso è infatti l’olio di oliva, che il governatorato di Idlib produce in discrete quantità, e che è alla base della produzione di questo antichissimo detergente vegetale dalle proprietà emollienti, i cui segreti sono tramandati da secoli di padre in figlio in Siria.

Detergenti bio, patrimonio culturale della Siria

«La produzione del sapone di Aleppo – spiega la direttrice della cooperativa, Fatima Chahine – è considerata un patrimonio culturale: chiunque può imparare rapidamente a farlo, una volta che si abbiano gli ingredienti necessari. Abbiamo trasformato una casa in affitto in un laboratorio di produzione. Come donne, ci ha permesso di scegliere un lavoro che fosse in linea con le nostre forze fisiche e con le nostre tradizioni locali».

Le lavoratrici sono per la maggior parte sopravvissute alle carceri del regime siriano che si sono rifugiate in questa regione. Le artigiane sperano di incrementare la produzione e la vendita, visti i rincari delle materie prime e la constatazione che i compensi permettono a malapena di coprire le spese di sussistenza delle famiglie.

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