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L’Iran non è (più) un Paese per giovani

Elisa Pinna
10 febbraio 2022
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C'è allarme in Iran per il declino demografico e l'invecchiamento della popolazione. Nel giro di pochi anni l'età media è passata da 27 a 31 anni. I giovani rinviano il matrimonio e c'è chi dà la colpa agli Usa e ad Israele.


L’Iran sta invecchiando rapidamente e ha il tasso di natalità più basso di tutto il Medio Oriente. Non è più, da almeno 16 anni, un Paese di 80 milioni di persone, con un’età media di 27 anni. Quelli erano dati relativi al censimento del 2006, rimasti incollati, insieme a tanti altri stereotipi, ad una realtà che sta cambiando.

Già nel censimento del 2016, l’ultimo effettuato sul territorio nazionale, il campanello d’allarme era scattato: l’età media passava a 31 anni, su una popolazione praticamente invariata. Poi il tracollo: dal 2015 al 2020 – riferisce su un giornale iraniano il direttore del Centro nazionale di ricerca sulla popolazione, Saleh Ghasemi – vi è stato un calo di 550mila nascite all’anno. Mancano ancora i dati del 2021, ma l’attuale tasso di crescita demografica è dello 0,6 per cento, il peggiore di tutta la regione. Sempre secondo Ghasemi, nei prossimi 10-15 anni la Repubblica islamica finirà sotto lo zero. Il tasso di fertilità è di 1,7 figli per donna, ben al di sotto –secondo i demografi iraniani – del 2,1 necessario per garantire che la popolazione non decresca.

«Oggi la popolazione sta divenendo sempre più anziana e questa è una notizia brutta, orribile», ha detto la guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. «La crescita futura della popolazione è cruciale per la sicurezza nazionale», osserva Amir-Hossein Ghazizadeh Hashemi, un rappresentante di spicco dell’attuale Majlis (parlamento), a maggioranza conservatrice. Per molti «falchi» iraniani la colpa della decrescita demografica va addossata all’infiltrazione di valori immorali nella società, se non addirittura a un «complotto» ordito dagli Stati Uniti e da Israele per diminuire il numero di sciiti nel mondo.

Di diverso avviso è Shahla Kazemipour, una docente di demografia all’Università di Teheran. Dopo anni di recessione, inflazione incontrollata, disoccupazione, sanzioni statunitensi e, da ultimo, la pandemia di Covid-19, i giovani iraniani hanno molti buoni motivi per rimandare i progetti di matrimonio e la prospettiva di mettere al mondo figli. «La nostra gioventù vorrebbe sposarsi ed avere bambini se ci fosse la prospettiva di uno sviluppo sostenibile, di una crescita economica e sociale e di garanzie per pianificare la vita». «Altrimenti saranno solo i tassi di povertà, di numero di drogati e di mortalità a crescere», spiega la docente.

Sui giornali iraniani il tema è caldo: dichiarazioni e promesse di nuovi sussidi da parte delle autorità a chi mette su famiglia si intrecciano con commenti e interviste ad esperti e giovani. «La situazione economica non migliorerà certo così in fretta da darci la possibilità di pensare all’amore e ai bambini», dice, tra i tanti, Sahar, una giovane disoccupata di 33 anni, che abita insieme alla madre e ad una sorella a Borujerd, sopravvivendo grazie ad un sussidio statale di circa 87 dollari al mese. Nessuno tra i suoi 24 cugini è sposato o ha figli. «Mi sono rassegnata a vivere un’esistenza da single e ho perso la speranza di avere un giorno una mia famiglia».

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