Compare finalmente anche in traduzione italiana, il romanzo-rivelazione Corpi celesti, della omanita Jokha Alharthi, già vincitore del premio internazionale Man Booker nel 2019.
Tradotto dall’arabo da Giacomo Longhi, con una certa indipendenza dalla versione inglese di cui mantiene il titolo (l’originale in arabo è letteralmente «Signore della luna», Sayyidat al-qamar), giunto alla seconda ristampa, è la dimostrazione che la buona letteratura, se ben tradotta, riesce a far superare le distanze culturali e ad appassionare i lettori a un modo di scrivere, raccontare e vedere il mondo che è profondamente arabo.
Corpi celesti è innanzitutto una saga familiare che si apre con una genealogia ad albero. I passaggi generazionali che si succedono nel corso della narrazione attraversano l’ultimo secolo e mezzo di storia dell’Oman, il piccolo sultanato un tempo colonia britannica e oggi regno indipendente a sud-est della penisola arabica.
Un luogo che, come i personaggi del libro, passa dall’essere un mondo di carovanieri e mercanti di schiavi – non dissimile dal vicino Yemen, ma con una storia assai più millenaria – a terra che si apre con estrema cautela alle novità dell’Occidente (il padre del penultimo sultano Qaboos vietava l’uso degli occhiali da vista perché riteneva fossero specchi che attraevano i demoni) fino a diventare paradiso dei viaggiatori in Arabia, centro turistico, e luogo di emigrazione verso il Regno Unito.
Un cambiamento di rotta che nel libro è osservato con lo sguardo delle donne: e così grazie a Mayya, Asma e Kawla, le tre sorelle «signore della luna», apprendiamo vite, morti e miracoli del villaggio di ‘Awafi, ma soprattutto scelte determinanti, e anche opposte, snocciolate e disseminate nel flusso di coscienza di Abdallah, marito di Mayya, in volo verso Francoforte.
Come nella Recherche di Proust è l’impulso di un sapore – per analogia o per contrasto – la chiave per ritornare a un momento perfetto, nella memoria dell’infanzia che fu. Così, per Abdallah la torta alle arance servita in volo dalla hostess richiama un passato semplice e povero, intessuto di tradizioni e rituali, dove i bambini attendevano pazienti il loro turno nelle occasioni speciali – matrimoni e funerali, diplomi e fidanzamenti – per assaggiare un pezzo di helwa (il dolce più diffuso in quest’area del mondo) o per infilarselo in tasca, nascosto come pietra preziosa avvolta alla bell’e meglio in carta di giornale, in attesa di centellinarlo sotto le lenzuola, da soli. Dopo l’helwa, ricorda Abdallah, arrivarono le bevande Vimto ai lamponi: il segno del passaggio all’industrializzazione e alla più ampia circolazione di beni alimentari, la diffusione democratica della glicemia, trasversale alle classi sociali; fino ai tempi più recenti, in cui l’amico Zayed, diventato quasi generale, aveva costruito la sua villa – dotata di pannelli solari e un ampio garage per la Toyota Camry rosso fiammante – e l’aveva riempita di casse zeppe di frutta e scatole incellofanate colme di helwa.
Corpi celesti non indugia solo sui beni materiali. Dalle scelte delle tre sorelle Mayya, Asma e Khawla traspaiono le anime di un Paese in trasformazione. Una realtà in parte ancora ancorata alla tradizione, al ruolo della donna che ritiene il matrimonio un passo necessario, un luogo che non conosce amore, se non tra i versi di una poesia, le pagine di un libro, le vicende raccontate in una delle musalsalat (sceneggiati o soap opera) preferite. In parte, però, anche ostinata nel desiderio di pretendere il meglio per sé – nella consapevolezza del proprio valore e bellezza – e nel rifiuto di ciò che si ritiene di non meritare, come è il caso di Kwala, la bella sorella che rifiuta tutti i pretendenti persa com’è per il suo «grande amore» emigrato in Canada e immerso in una disdicevole doppia vita. L’Oman emerge infine come un Paese proiettato verso il progresso industriale e sociale, con un’ambizione su scala globale che fa della migrazione e di un abbastanza solido legame affettivo – quello tra Mayya e il marito Abdallah – una base per gettare il cuore oltre l’ostacolo e trasferire ai figli la chiave e la spinta verso il successo, la realizzazione personale e professionale.
Vale la pena notare che, come tutte le donne di successo, l’autrice di questo romanzo è stata criticata (in patria e fuori) per essersi trasferita ad Edimburgo dove insegna (oltre che nell’università della capitale omanita, Muscat), e per avere raccontato «certe» cose dell’Oman, soprattutto luci e ombre dell’amore e dell’istituzione matrimoniale. Non appaia dunque una semplice curiosità il fatto che nel libro si faccia tanto riferimento alle contraddizioni della Storia.
Jokha Alharthi
Corpi celesti
Bompiani, 2022
pp. 252 – 18,00 euro