Nella capitale economica e turistica dell’Arabia Saudita è in corso una massiccia campagna di demolizione di interi quartieri (di povera gente). Fino a un milione di persone buttate sulla strada, senza troppi riguardi...
In questi giorni a Gedda le autorità nazionali e locali stanno attuando un piano di demolizioni in diversi quartieri della città, soprattutto nella centralissima Medina. La città di Gedda si trova sulla costa del Mar Rosso ed è considerata la capitale economica e turistica dell’Arabia Saudita.
I quartieri minacciati sono parte della storia sociale e urbana di questa città, centro commerciale e porta verso la Mecca: in tutto sono 46 per un totale di un milione e mezzo di cittadini interessati dalla prospettiva di sfollamento. La motivazione ufficiale fornita dalle autorità è restituire «un assetto urbano moderno alla città e creare attrattive per i turisti» ma la soluzione – trovata nella demolizione di centinaia di abitazioni costruite abusivamente su terreni demaniali, secondo il governo – presenta molti punti critici. A partire dai tempi di evacuazione: il comune di Gedda ha concesso ai residenti solo 48 ore (ad alcuni addirittura 24, ad altri ha ordinato l’evacuazione immediata). Il risultato è il caos: decine di migliaia di cittadini si sono trovati senza casa e non hanno potuto prelevare nemmeno i mobili prima dell’arrivo dei bulldozer. Migliaia di famiglie stanno trascorrendo le notti in automobile perché non hanno i soldi per affittare o comprare un’abitazione in un’altra zona.
Al momento le demolizioni avrebbero causato lo sfollamento di un totale di 7.196 persone dal quartiere di Dhahban, 10.906 dal quartiere di Thuwal, 7973 da al-Nuzha, 9 388 da Mushrifa, 121.590 da Jama’a, 44.385 da Al-Hindawiyah e da al-Tha’alibah, quartiere che le autorità saudite hanno iniziato a demolire per ultimo, il 30 dicembre scorso. Anche altre piccole aree sarebbero state demolite e alcuni gruppi locali per i diritti umani le indicano in al-Faw, al-Mahamid, al-Thaghr, Dhahban, Mashrafa, Bani Malik al-Qurayyat e al-Sharafiya.
La massiccia campagna di demolizione è stata accolta con enorme rabbia nel Paese: i cittadini accusano le autorità di investire e guadagnare denaro a spese dei diritti dei cittadini più poveri. Il governo, infatti, non ha sviluppato – prima o contemporaneamente all’operazione – dei piani alternativi per alloggiare i cittadini senza casa. Si parla di un sistema di risarcimento per le famiglie colpite, ma non è inclusivo. Infatti, lo Stato pagherà un indennizzo per i terreni, soltanto a coloro che hanno i documenti di proprietà. Mentre, per le costruzioni demolite, promette un indennizzo a tutti, anche ai possessori di strutture abusive.
La demolizione dei quartieri di Gedda arriva in un momento in cui il principe ereditario Mohammed bin Salman ha lanciato un nuovo progetto d’investimento per costruire quattro importanti punti di riferimento globali nell’area: un teatro dell’opera, un museo, uno stadio sportivo, acquari e allevamenti di coralli. Inoltre saranno realizzati dieci siti di intrattenimento di qualità e vari progetti a carattere turistico, nella cornice del programma Vision 2030.
Gli attivisti sui social media twittano quanto accade in queste ore con gli hashtag #DestroyJeddah e #ThreateningJeddah («Distruggere Gedda» e «Gedda sotto minaccia»), e lo fanno utilizzando toni molto duri. Sostengono che in Arabia Saudita è in atto «una catastrofe umanitaria, sociale ed economica che sta colpendo un milione di persone». Il punto centrale della questione è la frattura – già presente, ma non così ampia come oggi – tra cittadini sauditi di classi sociali diverse: gli attivisti su Twitter sottolineano che nel Paese è in atto la demonizzazione delle persone dei quartieri presi di mira, identificate come nemiche dello Stato, e non come cittadini a cui richiedere un grande sforzo per il bene collettivo. Omar Abdel Aziz, un membro del National Gathering Party all’opposizione, ha così commentato i lavori di demolizione in corso a Gedda: «Le persone colpite dallo sviluppo e dall’abbattimento di edifici e abitazioni sono pensionati, ex soldati e piccoli lavoratori». Il politico lamenta che non si siano immaginate alternative abitative da proporre a queste fasce della popolazione, abbandonate al mercato dei nuovi affitti che impone prezzi troppo alti. Soluzioni impossibili per i più.
Così come era impossibile pensare, solo qualche anno fa, ad ipotesi di gentrificazione anche qui, nel cuore del Mar Rosso.