Ci sono oltre 6 milioni e mezzo di buone ragioni per lasciare la Siria. Tante quanti sono i siriani fuggiti all’estero dal 2011 ad oggi. I passi degli esuli hanno percorso strade più o meno agevoli e trovato approdi diversi.
I meglio istruiti, membri della classe media e con già una buona professione alle spalle, hanno ottenuto visti di lavoro nel Nord America o in Europa e trovato impieghi dignitosi. Il passato non passa, però, e per qualcuno con trascorsi oscuri s’è messa male. Nelle vie o nei negozi delle città europee c’è chi è incappato in connazionali che lo hanno riconosciuto e denunciato quale presunto responsabile di gravi crimini.
Dopo l’arresto e le prime indagini di polizia, la parola è passata ai magistrati che devono vagliare le testimonianze e pronunciare un verdetto. I tribunali tedeschi non si sono sottratti. Così il 19 gennaio a Francoforte si è aperto un processo penale a carico di Alaa Mousa, un medico oggi 36enne, che vive in Assia con la propria famiglia – la moglie e due figli piccoli –, lavora sodo e guadagna bene.
Un medico alla sbarra
Chi lo ha denunciato sostiene che tra l’aprile 2011 e il dicembre 2012 il dottor Mousa, neo-laureato, prestava servizio in un ospedale militare (il 608) nella città di Homs. Secondo le accuse che lo hanno portato alla sbarra, il giovane medico cristiano avrebbe torturato alcuni detenuti con pratiche indegne di un essere umano e volontariamente causato la morte di almeno uno dei civili arrestati e rinchiusi nelle strutture militari per essere interrogati con pochi riguardi.
Nel 2015 il sanitario è arrivato in Germania con un regolare visto d’ingresso e da allora ha prestato servizio in varie strutture. Nel 2020 un testimone lo ha fatto arrestare. All’inizio del dibattimento in aula – riporta il quotidiano Der Spiegel –, il giudice gli ha chiesto di parlare brevemente di sé. L’imputato si è professato innocente e ha spiegato di aver coltivato il desiderio di trasferirsi in Germania, per perfezionarsi sul piano professionale, sin da quando studiava all’università di Aleppo. Il suo faro è uno zio, anche lui medico, che lavora nel Regno Unito.
Nell’elencare i capi d’accusa all’avvio del processo, il pubblico ministero Anna Zabeck ha accusato l’imputato di aver preso parte attiva a un apparato repressivo ampio e sistematico messo in campo dal governo di Damasco contro gli oppositori civili.
Gli organismi umanitari che dal 2011 ad oggi hanno raccolto dati e testimonianze su quanto accade in Siria, reputano che siano almeno 100mila (forse 130mila) le persone incappate nelle maglie degli apparati di sicurezza siriani e scomparse senza lasciare traccia.
Il principio della giurisdizione universale
Il dottor Alaa Mousa non è il primo siriano a finire sotto processo in Germania, sulla base del principio della giurisdizione universale, in base al quale gli individui responsabili di gravi crimini contro l’umanità commessi in tempo di guerra in un Paese possono essere perseguiti anche da altre giurisdizioni nazionali (non competenti sotto il profilo territoriale o della nazionalità dei colpevoli e delle vittime).
Il 13 gennaio scorso un tribunale di primo grado, a Coblenza, ha condannato all’ergastolo – con possibilità di libertà vigilata dopo 15 anni in cella – l’ex colonnello dei servizi di sicurezza siriani Anwar Raslan (58 anni). L’uomo, che a un certo punto disertò e riparò all’estero, è stato ritenuto corresponsabile, in quanto ufficiale superiore, di 27 casi di omicidio, conseguenti a torture, stupri e aggressioni sessuali che ebbero luogo tra il 2011 e il 2012 nel centro di detenzione di Al-Khatib, a Douma, vicino a Damasco. La pubblica accusa addebitava a Raslan la responsabilità indiretta complessivamente di 4.000 casi di tortura.
Al processo, iniziato nella primavera del 2020, ha deposto un’ottantina di testimoni. Nel febbraio 2021 lo stesso tribunale aveva già condannato un altro militare siriano di grado inferiore – Eyad al-Gharib (44 anni) – a una pena di quattro anni e mezzo di carcere per complicità in crimini contro l’umanità. I due ex militari erano stati arrestati nel 2019, sempre grazie alle denunce presentate da altri connazionali immigrati in Germania.
Altrove in Europa…
Indagini e procedimenti penali di questo genere sono stati aperti negli ultimi anni anche in Austria, Francia, Norvegia e Svezia. In quest’ultimo Paese è stata pronunciata nel 2017 la prima condanna – a otto mesi di carcere – contro Mohammed Abdullah, un ex-militare siriano riconosciuto colpevole di oltraggio alla dignità umana per essersi fatto fotografare in posa sprezzante con il piede posato su un cumulo di cadaveri. Sempre la Svezia nell’agosto 2016 aveva comminato una sentenza a otto anni di carcere per crimini contro l’umanità a Mouhannad Droubi, un miliziano del Libero esercito siriano (antigovernativo) riparato nel Paese scandinavo nel 2013.
Analogo il caso di Haisam Omar Sakhanh, un siriano che ha vissuto in Italia tra il 2002 e il 2012 quando fece rientro nel suo Paese per partecipare ai movimenti antigovernativi. Nell’aprile di quell’anno l’uomo prese parte all’assassinio di sette soldati governativi catturati dai ribelli. Il video dell’esecuzione sommaria, finito in Rete, consentì nel 2016 di incriminare e poi condannare all’ergastolo – in via definitiva – Sakhnah, che nel 2013 aveva ottenuto asilo dal governo di Stoccolma.
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