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Copti, finisce il divieto di visitare Gerusalemme

Christophe Lafontaine
19 gennaio 2022
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Copti, finisce il divieto di visitare Gerusalemme
Interno della cappella copta della basilica del Santo Sepolcro, Gerusalemme. (foto NatiShohat/Flash90)

Il patriarca copto ortodosso Tawadros II ha revocato il divieto di recarsi a Gerusalemme imposto in passato ai fedeli, a causa delle relazioni tese arabo-israeliane. Di fatto, in tempi recenti, molti avevano aggirato il divieto.


«I cristiani copti d’Egitto che si recano in pellegrinaggio a Gerusalemme non contravvengono ad alcuna disposizione dell’autorità ecclesiastica». Così è stata sintetizzata la scorsa settimana una parte della dichiarazione di Tawadros II, papa dei copti ortodossi, rilasciata durante un’intervista alla televisione egiziana su Channel One trasmessa il 7 gennaio, durante il Natale della più grande comunità cristiana del Medio Oriente. L’agenzia cattolica Fides riferisce che «sono ormai decadute e superate dalla storia le prescrizioni disposte in passato dai vertici della gerarchia copta, che nel contesto storico segnato dal conflitto arabo-israeliano avevano dato indicazione ai propri fedeli di non visitare la città santa».

Questo divieto nasceva dalle posizioni del patriarca della Chiesa copta ortodossa Cirillo VI (1959-1971) che voleva in questo modo protestare, insieme al presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, contro l’occupazione israeliana di Gerusalemme iniziata nel 1967 con la guerra dei Sei giorni. Il papa dei copti, non volendo che i suoi fedeli in pellegrinaggio nella città passassero come traditori agli occhi del resto del mondo arabo, aveva chiesto a tutti i copti ortodossi d’Egitto di rinunciare a tali progetti. Inoltre, le autorità israeliane dell’epoca decisero di espellere i monaci copti dal monastero di Deir-el-Sultan situato sul tetto del Santo Sepolcro dopo la guerra dei Sei giorni e nel 1970 lo cedettero ai monaci etiopi. Un motivo di collera che portava solo acqua al mulino del patriarca copto.

Un divieto decretato nel 1979

Data la radicalizzazione della questione israelo-palestinese, il provvedimento disciplinare del Patriarcato copto ortodosso, accompagnato da sanzioni, fu seguito alla lettera dal suo successore, Shenuda III (1971-2012) che lo intendeva mantenere finché la città santa sarebbe rimasta sotto occupazione israeliana. Un gesto politico assunto come segno di solidarietà verso i palestinesi e contro la normalizzazione dei rapporti tra Egitto e Stato ebraico. Shenuda III, infatti, si oppose ufficialmente al presidente Anuar al-Sadat impegnato nella distensione diplomatica tra Egitto e Israele, nel quadro degli accordi di Camp David (​17 settembre 1978), seguiti dalla firma del primo trattato di pace tra un Paese arabo e Israele nel 1979.

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A riprova del disaccordo tra i due uomini, il Patriarca copto ortodosso si era già rifiutato di recarsi in Israele nel 1977 per accompagnare il presidente al-Sadat. Nel 1980, il Sinodo della Chiesa copta ortodossa aveva formalmente emesso un divieto di viaggio nello Stato ebraico, seguendo la linea di condotta di Shenuda III emanata nel 1979.

Dopo la morte del patriarca nel 2012, un centinaio di cristiani copti sbarcarono a Tel Aviv per la Settimana Santa, nonostante il nuovo patriarca copto, Tawadros II, avesse assunto la stessa posizione del suo predecessore. Durante una visita a Mosca nell’ottobre 2014, Tawadros II disse che l’indicazione di non visitare la città santa rimaneva in vigore e non sarebbe cessata finché i fratelli musulmani della nazione egiziana non potranno entrare liberamente a Gerusalemme.

Un divieto più volte aggirato

Tuttavia, lo stesso anno, un centinaio di copti ortodossi provenienti dall’Egitto avevano aggirato il divieto di vivere la Settimana Santa a Gerusalemme. Sebbene il divieto non fosse stato revocato, le misure punitive non venivano più applicate. Secondo l’agenzia Fides, per molti osservatori l’ordine patriarcale era ormai obsoleto, e sembrava contrario ai rapporti esistenti tra i due Stati vicini, Egitto e Israele, che sono ufficialmente in pace.

Un evento sembra aver segnato una svolta decisiva: nel novembre 2015, il patriarca Tawadros II ha visitato la Terra Santa. È stata la prima visita di un patriarca copto ortodosso a Gerusalemme dal 1967. Tawadros II decise di partecipare ai funerali dell’arcivescovo copto di Terra Santa, Anba Abraham, al quale era personalmente legato. La Chiesa copta ortodossa si era però premurata di annunciare il viaggio di Tawadros II come non ufficiale ed eccezionale. Tuttavia, questo è stato molto probabilmente considerato dai copti egiziani come una nuova breccia.

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Di fatto, l’anno successivo, 2016, almeno 5.700 pellegrini copti egiziani, un migliaio in più rispetto al 2015, si recarono a Gerusalemme per le funzioni della Settimana Santa. In quel momento, fu chiaro che i precedenti divieti imposti ai pellegrinaggi copti in Terra Santa non avevano più ragione di esistere e non erano più percepiti come obbligatori dai copti battezzati.

Congedo retribuito

Inoltre, il 5 febbraio 2017, una decisione della Corte suprema egiziana ha concesso ai dipendenti copti egiziani il diritto di recarsi a Gerusalemme per le loro osservanze religiose. Il tribunale ha persino concesso ai copti il ​​diritto a un mese di congedo retribuito, proprio come per i musulmani egiziani che si recano in pellegrinaggio alla Mecca… Una decisione che sembra togliere ogni remora a chi ha ancora una certa riluttanza ad attraversare il confine. Così nel 2019 ben 6 mila fedeli copti si sono recati per Pasqua a Gerusalemme.

Nella sua intervista dello scorso Natale, papa Tawadros II non ha mancato di ricordare che fin dal XIII secolo le cronache attestano la presenza di un vescovo copto residente nella città santa, e ha sottolineato che la sospensione dei pellegrinaggi dall’Egitto ha causato una diminuzione della presenza dei copti in Terra Santa. Il patriarca ha infine ricordato i ripetuti inviti a visitare Gerusalemme rivolti agli egiziani dal presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, durante le sue visite ufficiali in Egitto.

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