Attiviste Iraq: «Più donne in politica contro gli abusi sessuali»
Ondata di proteste dopo un nuovo caso di una bambina violentata da un poliziotto. Le organizzazioni della società civile, insieme a Human Rights Watch, chiedono più donne tra ministri e legislatori per contrastare la violenza di genere
Più donne in Parlamento per fermare femminicidi e violenze sessuali in Iraq. È quanto chiedono varie associazioni irachene per i diritti umani dopo gli ultimi gravi casi di violenze sessuali. Nelle scorse settimane due episodi ai danni di altrettante adolescenti hanno sollevato un’ondata di proteste, dopo anni di disattenzione a causa dell’instabilità che attraversa il Paese. Nel primo episodio un’adolescente sarebbe stata sfigurata con l’acido da un presunto corteggiatore; nel secondo una bambina sarebbe stata violentata, secondo fonti di stampa, da un poliziotto vicino di casa che è stato poi arrestato. Quest’ultimo caso è stato reso noto dal ministero degli Interni attraverso un video girato in ospedale nel quale si vede la bimba ricoverata, con il volto oscurato. Un’associazione per i diritti umani ha twittato che, secondo proprie fonti, l’aggressore aveva già violentato un’altra bambina che era stata poi uccisa dalla famiglia in un cosiddetto «delitto d’onore» come conseguenza dello stupro. Il portavoce del ministero non ha voluto rispondere alle domande dei giornalisti sul pedofilo e sul video che era stato inviato ai media.
Troppo poche le donne nelle istituzioni
Nel frattempo fanno discutere le foto circolate in queste settimane di incontri in pubblico e in case private dei leader politici esclusivamente uomini per la formazione del nuovo governo: la scarsa partecipazione politica e l’assenza di donne nelle posizioni chiave dei processi decisionali, a livello esecutivo, legislativo e giudiziario, viene ormai ampiamente vista dalle associazioni per i diritti delle donne come strettamente connessa all’impunità dei colpevoli di reati di violenza.
«È urgente aumentare le ministre donne per una rappresentazione significativa delle irachene e per stabilire leggi e regolamenti che proteggano donne e bambine dalle violenze sessuali» ha dichiarato Amal Kabashi, esponente della Rete delle donne irachene (Iraqi Women Network) che rappresenta la rete di più di un centinaio di organizzazioni femministe locali. L’attivista aveva tra l’altro chiesto in un’audizione alle Nazioni Unite dello scorso 23 novembre l’istituzione di un Consiglio nazionale delle donne per contrastare la violenza di genere.
Human Rights Watch: Urge legge contro abusi domestici
Già un anno e mezzo fa l’organizzazione Human Rights Watch aveva lanciato l’allarme sul «bisogno urgente» in Iraq di una legge contro le violenze domestiche. Anche perché, si leggeva in quell’appello, una bozza di disegno di legge del 2019 (tuttora non approvata) era incentrata «sulla riconciliazione invece che sulla protezione e giustizia per le vittime»: con questo approccio anche le forze dell’ordine risultavano giocare «un ruolo di mediazione piuttosto che obbligare a rispettare le leggi» e si concentravano «nel favorire la riconciliazione fra vittima e aggressore».
Nel frattempo si sono moltiplicati in questi anni le accuse contro la polizia per i numerosi casi che hanno visto agenti nelle vesti di accusati di violenze sessuali a danni di minorenni e disabili, con conseguenti tentativi di mettere a tacere le famiglie e regolamenti di conti “tribali” fra comunità offese e poliziotti divenuti bersagli di agguati.
Colpire le donne distrugge una nazione
Numerosi studi internazionali hanno mostrato come la mancanza di rispetto per le donne causi un deterioramento ad ampio spettro delle condizioni generali di sicurezza, conflitti tribali, radicalizzazione e distruzione della fiducia nelle istituzioni e nelle forze di sicurezza. Un’adeguata rappresentanza delle donne a livello politico contribuirebbe a ridurre il livello di conflittualità tra le varie comunità etniche e religiose che compongono l’Iraq e assicurerebbe un approccio meno militare e più inclusivo delle categorie sociali più fragili alle questioni che riguardano i diritti umani e la convivenza civile.