(c.l./g.s.) – Giovedì 9 dicembre, i rappresentanti delle Chiese cristiane in Terra Santa si erano riuniti intorno al patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Theophilos III presso la Porta di Giaffa, uno degli ingressi al quartiere cristiano della città vecchia. Prendendo spunto dall’accensione dell’albero di Natale sul balcone dell’Hotel Imperial, il patriarca ha voluto mettere ancora una volta l’accento sulla storica presenza e influenza dei cristiani in Terra Santa. L’ecclesiastico ha altresì menzionato le minacce all’identità, alle proprietà e agli abitanti stessi del quartiere. Intimidazioni che si manifestano attraverso le azioni di gruppi nazionalisti ebrei radicali che vogliono, attraverso l’acquisizione di case palestinesi, ridurre la presenza dei non ebrei a Gerusalemme.
Cent’anni fa, ha chiosato il patriarcato greco-ortodosso in un comunicato all’indomani dell’evento, i cristiani costituivano il 12 per cento della popolazione in Terra Santa. Oggi sono l’1 per cento. «Il loro numero è sceso a livelli storicamente bassi, sospinti via da molteplici fattori: difficoltà economiche, mancanza di opportunità, complicazioni burocratiche, violenze e vandalismi sulle proprietà».
L’aggressività delle frange radicali
Pochi giorni dopo, con una dichiarazione congiunta datata 13 dicembre, i patriarchi e capi delle Chiese cristiane a Gerusalemme hanno allargato lo sguardo su tutta la Terra Santa, osservando che aggressioni fisiche e verbali o abusi si registrano anche in altre località, con maggiore frequenza a partire dal 2012. Si tratta, puntualizzano i capi delle comunità cristiane, di «tattiche usate da frange di gruppi radicali nel tentativo sistematico di cacciare la comunità cristiana da Gerusalemme e da altre parti della Terra Santa».
I tredici firmatari della dichiarazione accolgono con favore il «dichiarato impegno del governo israeliano ad assicurare un ambiente sicuro per i cristiani in Terra Santa e preservare la comunità cristiana quale parte integrante del tessuto sociale. Come prova di questo impegno vediamo la facilitazione del governo alle visite di milioni di pellegrini cristiani ai luoghi santi della Terra Santa». Detto ciò, viene rilevato con amarezza che «l’impegno espresso a livello nazionale è tradito dall’incapacità dei politici a livello locale, funzionari pubblici e forze dell’ordine a frenare le attività dei gruppi radicali».
Dialogo urgente
Per questo i capi delle comunità cristiane, e non solo cattoliche, di Terra Santa chiedono l’avvio di «un dialogo urgente» con le autorità politiche di Israele, Palestina e Giordania (il cui sovrano è riconosciuto internazionalmente come protettore dei luoghi santi di Gerusalemme – ndr).
Un dialogo che miri innanzitutto ad «affrontare le sfide presentate dai gruppi radicali a Gerusalemme sia alla comunità cristiana che allo Stato di diritto, per garantire che nessun cittadino o istituzione debba vivere sotto la minaccia di violenza o intimidazione».
Un quartiere da tutelare
In secondo luogo si dovrebbe dialogare sulla possibilità di creare «una zona speciale della cultura e del patrimonio cristiani per salvaguardare l’integrità del quartiere cristiano della città vecchia di Gerusalemme e assicurare che la sua unicità e il suo patrimonio siano preservati per il bene della comunità locale, della nostra vita nazionale e del mondo intero (quest’ultimo riferimento è, probabilmente, ai pellegrini – ndr)».
A riguardo, la dichiarazione sottolinea che «il principio secondo cui dev’essere tutelato il carattere spirituale e culturale specifico dei quartieri storici di Gerusalemme è già riconosciuto dalla legge israeliana in riferimento al quartiere ebraico».
Va ricordato che il quartiere cristiano occupa la porzione nord-occidentale della città murata: tutt’intorno alla basilica del Santo Sepolcro si trovano le sedi dei vari patriarcati, conventi, monasteri, chiese, strutture di accoglienza per i pellegrini e abitazioni. Vi si può accedere tanto dalla Porta di Jaffa quanto dalla Porta Nuova (situata a nord).