(g.s.) – Dopo il primo incontro con i cattolici ciprioti nella cattedrale maronita, papa Francesco ha raggiunto il palazzo presidenziale dove è stato ufficialmente accolto dal presidente della Repubblica di Cipro, Nicos Anastasiades. Alla presentazione degli onori militari e all’omaggio del Papa e del presidente alla statua dell’arcivescovo Makarios III (1913-1977), considerato il padre della patria, è seguito un breve colloquio privato tra le due personalità. Quindi il capo dello Stato e il Papa si sono trasferiti nella sala delle cerimonie per l’incontro con il corpo diplomatico, le autorità e i rappresentanti della società civile e del mondo della cultura.
Nel suo discorso di benvenuto, il presidente Anastasiades ha sottolineato la proficua collaborazione tra la sua Repubblica e la Santa Sede, che allacciarono formali relazioni diplomatiche nel 1973.
Ha inoltre riconosciuto Francesco come «il Papa dei poveri», per la sua sensibilità al tema, espressa anche con azioni concrete. «Indicativa della sua chiara visione – ha sottolineato Anastasiades – è l’importanza che lei attribuisce a un cristianesimo dal volto umano e tollerante, come mezzo efficace per il prevalere dei valori di pace, solidarietà e fraternità tra i popoli».
Dopo aver detto di condividere le preoccupazioni del Papa per il mutamento climatico in atto, il presidente ha assicurato che Cipro si ispira alla filosofia di «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» i migranti. Tuttavia il loro numero crea difficoltà: la nostra isola – dicono i ciprioti – è il Paese europeo con il maggior numero di richiedenti asilo in rapporto alla popolazione locale.
«Arrivano anche grandi flussi di immigrati illegali, attraverso le aree occupate [del Nord dell’isola]». Il presidente a questo punto ha espresso gratitudine al Papa per il gesto simbolico di voler trasferire 50 migranti da Cipro all’Italia. «La sua iniziativa simbolica è, soprattutto, un forte segnale circa la necessità di una revisione della politica migratoria dell’Unione europea, così che tanto la gestione del problema quanto le condizioni di vita dei migranti negli Stati membri possano diventare più eque».
Un passaggio dell’intervento presidenziale non poteva eludere il tema della spaccatura di Cipro: «Non posso non menzionare la presenza di 35mila soldati turchi, come truppe d’occupazione, e lo sfollamento di 170mila profughi greco-ciprioti, tra i quali i membri di gruppi minoritari sull’isola. Non posso tacere il dramma e l’angoscia dei parenti di coloro che ancora risultano dispersi. E neppure posso – conoscendo la sua sensibilità – omettere un riferimento alla dissacrazione di monumenti culturali e religiosi nei territori occupati, in brutale violazione dei principi universali di umanità».
Una soluzione al problema di Cipro – osserva il presidente Anastasiades – è fin qui stato reso impossibile dall’intransigenza turca, sorda anche alle sollecitazioni delle Nazioni Unite
Nel prendere la parola, papa Francesco ha detto di essere «venuto pellegrino in un Paese piccolo per la geografia ma grande per la storia; in un’isola che nei secoli non ha isolato le genti, ma le ha collegate; in una terra il cui confine è il mare; in un luogo che segna la porta orientale dell’Europa e la porta occidentale del Medio Oriente. Siete una porta aperta, un porto che congiunge: Cipro, crocevia di civiltà, porta in sé la vocazione innata all’incontro, favorita dal carattere accogliente dei ciprioti. (…) Proprio da qui, dove Europa e Oriente si incontrano, è cominciata la prima grande inculturazione del Vangelo nel continente ed è per me emozionante ripercorrere i passi dei grandi missionari delle origini, in particolare dei santi Paolo, Barnaba e Marco».
Ha utilizzato l’immagine della perla papa Francesco per parlare di Cipro, la cui bellezza «deriva dalle culture che nei secoli si sono incontrate e mescolate. Anche oggi la luce di Cipro ha molte sfaccettature: tanti sono i popoli e le genti che, con diverse tinte, compongono la gamma cromatica di questa popolazione. Penso pure alla presenza di molti immigrati, percentualmente la più rilevante tra i Paesi dell’Unione Europea. Custodire la bellezza multicolore e poliedrica dell’insieme non è facile. Richiede, come nella formazione della perla, tempo e pazienza, domanda uno sguardo ampio che abbracci la varietà delle culture e si protenda al futuro con lungimiranza. È importante, in questo senso, tutelare e promuovere ogni componente della società, in modo speciale quelle statisticamente minoritarie. Penso anche a vari enti cattolici che beneficerebbero di un opportuno riconoscimento istituzionale, perché il contributo che recano alla società attraverso le loro attività, in particolare educative e caritative, sia ben definito dal punto di vista legale».
«La perla di Cipro – ha aggiunto il Papa – è stata oscurata dalla pandemia, che ha impedito a tanti visitatori di accedervi e di vederne la bellezza, aggravando, come in altri luoghi, le conseguenze della crisi economico-finanziaria. In questo periodo di ripresa non sarà tuttavia la foga di recuperare quanto perduto a garantire uno sviluppo solido e duraturo, ma l’impegno a promuovere il risanamento della società, in particolare attraverso una decisa lotta alla corruzione e alle piaghe che ledono la dignità della persona; penso ad esempio al traffico di esseri umani».
Anche per parlare della «terribile lacerazione che [Cipro] ha subito negli ultimi decenni» ha richiamato «la forza paziente e mite del dialogo»: «Sappiamo che non è una strada facile; è lunga e tortuosa, ma non ci sono alternative per giungere alla riconciliazione. Alimentiamo la speranza con la forza dei gesti anziché sperare in gesti di forza. Perché c’è un potere dei gesti che prepara la pace: non quello dei gesti di potere, delle minacce di ritorsione e delle dimostrazioni di potenza, ma quello dei gesti di distensione, dei concreti passi di dialogo. (…) Proprio i tempi che non paiono propizi e nei quali il dialogo langue sono quelli che possono preparare la pace. Ce lo ricorda ancora la perla, che diventa tale nella pazienza oscura di tessere sostanze nuove insieme all’agente che l’ha ferita. In questi frangenti non si lasci prevalere l’odio, non si rinunci a curare le ferite, non si dimentichi la situazione delle persone scomparse. E quando viene la tentazione di scoraggiarsi, si pensi alle generazioni future, che desiderano ereditare un mondo pacificato, collaborativo, coeso, non abitato da rivalità perenni e inquinato da contese irrisolte. A questo serve il dialogo, senza il quale crescono sospetto e risentimento».