(c.le./g.s.) – Sarà dunque un altro Natale senza turisti o pellegrini cristiani in Terra Santa. Davanti al dilagare della variante Omicron del coronavirus Sars-Cov2, il governo israeliano mercoledì 15 dicembre ha deliberato di estendere ulteriormente la chiusura delle sue frontiere agli stranieri fino al 29 dicembre, e di collocare sette nuovi Paesi (Francia, Spagna, Svezia, Irlanda, Norvegia, Finlandia ed Emirati Arabi Uniti) nella «lista rossa» con effetto dal 19 dicembre. Al momento la lista include già praticamente tutti i Paesi dell’Africa sub-sahariana. Non basta: visto l’andamento della situazione, le autorità sanitarie prevedono di aggiungere all’elenco nei prossimi giorni anche Stati Uniti, Portogallo, Turchia, Germania, Ungheria, Marocco e Canada.
Israele, le restrizioni si allargano
Tecnicamente non sono consentiti viaggi verso questi Paesi e gli israeliani che rientrano da lì, dovranno isolarsi in un Covid hotel fino a che riceveranno il risultato negativo del test PCR effettuato in aeroporto dopo lo sbarco dall’aereo. Da quel momento dovranno stare in quarantena domiciliare per sette giorni, anche se completamente vaccinati.
In pratica però, il sistema di eccezioni, garantite da una speciale commissione, da domenica 12 dicembre da Israele allarga le maglie per il «turismo ebraico», che la ministra dell’Interno Ayelet Shaked definisce «di importanza nazionale». È così che il programma denominato Birthright, che offre viaggi gratuiti in Israele a giovani ebrei di tutto il mondo, riuscirà a far arrivare con successo gruppi dagli Stati Uniti a partire dalla prossima settimana. I partecipanti, completamente vaccinati, devono restare esclusivamente tra di loro, limitando le interazioni con la popolazione locale.
Delusi i cristiani
La notizia ha irritato gli ambienti cristiani in Terra Santa. «Qui c’è una questione di principio: perché i membri di Brithright, che sono cittadini stranieri, godono di tali esenzioni e i pellegrini cristiani no? L’unica differenza è che sono ebrei», ha detto al quotidiano israeliano Ha’aretz un leader religioso che ha preferito rimanere anonimo.
Altri – come Wadie Abunassar, già consigliere e portavoce dell’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa – nei propri account Facebook hanno parlato di una disparità inaccettabile su base razziale, sollecitando le autorità israeliane a «trattare tutti coloro che desiderano visitare il Paese in modo analogo, senza discriminazioni di tipo religioso». La delusione dei cristiani – espressa anche dal Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, citato dall’agenzia Ansa il 12 dicembre – è rimbalzata su vari media internazionali. Nelle stanze del governo israeliano l’hanno presa male.
Duro comunicato del governo israeliano
In un comunicato dai toni duri diffuso nel pomeriggio del 16 dicembre, Lior Haiat, portavoce del ministero degli Esteri, definisce queste accuse «false e pericolose» e ricorda che la speciale commissione che può concedere eccezionalmente la possibilità di entrare in Israele esamina ogni giorno centinaia di richieste, «senza pregiudizi, né discriminazioni di razza o religione».
Tra le richieste approvate negli ultimi giorni dalla Commissione – tanto ad ebrei quanto a cristiani – dice il comunicato, «alcune provenivano dalle autorità ecclesiastiche in Israele, inclusi i permessi per l’ingresso di sacerdoti per le prossime festività cristiane».
Con accenti alquanto aspri e per nulla diplomatici la dichiarazione intende mettere a tacere ogni possibile replica: «Queste infondate accuse di condotte discriminatorie sono oltraggiose, false e pericolose. Ci aspettiamo dai leader religiosi che non si lascino andare a discorsi senza fondamento che fomentano l’odio, servono solo a gettare benzina sul fuoco dell’antisemitismo e possono condurre alla violenza e causare danni a persone innocenti».
Il turismo non è una priorità
Al di là dell’irritazione per un’altra stagione natalizia funestata dalla pandemia, è soprattutto la stanchezza a trasparire. I turisti sono ormai bloccati fuori dai confini dal marzo 2020, ad eccezione di una breve finestra temporale che si è aperta nel novembre scorso. Due anni consecutivi senza entrate hanno reso esangue il settore dei pellegrinaggi e i suoi attori, più che mai impazienti davanti alla prospettiva del Natale imminente, che abitualmente porta migliaia di pellegrini in Terra Santa. Nei Territori Palestinesi, Betlemme, scenario di gran parte delle celebrazioni natalizie, dovrà rassegnarsi a un altro anno di magre entrate.
Per il governo israeliano la linea è chiara. «Vogliamo mantenere i preziosi progressi fatti durante l’ondata della variante Delta, ovvero un’economia funzionante e un sistema educativo attivo. Questa è la nostra priorità», ha insistito il primo ministro israeliano Naftali Benett in una conferenza stampa il 27 novembre. Anche a costo di sacrificare il settore turistico. Quasi a conferma della linea, il ministro delle finanze Avigdor Liberman ha dichiarato il 12 dicembre che le guide turistiche e gli agenti di viaggio «dovrebbero trovare altri lavori». L’uscita ha causato un tumulto, ha sospinto diverse centinaia di manifestanti verso l’aeroporto Ben-Gurion e alla fine ha indotto il governo a impegnarsi in un piano di aiuti per il comparto.
Non potendo contare sul turismo internazionale, i comuni hanno scommesso sulle risorse locali. A Betlemme come a Ramallah, Beit Jala o Gerusalemme, i comuni non hanno lesinato sui festeggiamenti: luminarie grandiose sugli alberi, mercatini di Natale allungati… «Abbiamo raddoppiato le attività degli anni precedenti in termini di partecipazione, coordinamento, assistenza e supporto», spiega Carmen Ghattas, del servizio stampa del Municipio di Betlemme, al media cristiano Maghtas.
Forse quest’anno i cristiani locali potranno riappropriarsi di spazi e liturgie che abitualmente lasciano ai pellegrini stranieri. Da un male potrebbe anche sbocciare un bene.