(g.s.) – L’ultimo momento pubblico del viaggio di papa Francesco a Cipro è stato, forse, anche quello emotivamente più intenso. Parliamo della preghiera ecumenica con i migranti svoltasi nel pomeriggio del 3 dicembre nella chiesa francescana di Santa Croce, presso la Porta di Paphos, a Nicosia. La piccola assemblea – non tutti quelli che avrebbero amato partecipare hanno trovato posto – era multilingue e composta e tutto si è svolto con semplicità in meno di un’ora.
«Non possiamo tacere»
Nitide le parole del patriarca latino di Gerusalemme – rivolte al Papa in italiano – nel dare il via all’incontro.
«Prima di terminare il suo pellegrinaggio – ha osservato mons. Pierbattista Pizzaballa –, era giusto e doveroso volgere lo sguardo anche a quella realtà dolorosa e difficile che esiste in quest’isola, nella quale simbolicamente si presentano i drammi che il Mediterraneo vive quotidianamente. Primo fra tutti quello delle migliaia di famiglie di rifugiati e migranti, provenienti dalle diverse parti del mondo, soprattutto dal Medio Oriente martoriato, su cui si affaccia la nostra isola. Cipro, infatti, prima, fra le isole del Mediterraneo, sperimenta il dramma di migliaia di migranti, in fuga da guerra e miseria e che qui si fermano, senza vie di uscita, senza chiare prospettive per il loro futuro. (…) È una realtà di cui non si parla, se non in qualche momento particolarmente drammatico; è nascosta agli occhi della maggioranza della popolazione. Ma per quanto la si voglia tacere, essa balza, comunque, agli occhi di chiunque sia attento a quanto accade attorno a sé. Si tratta infatti di migliaia di persone, che non possono rimanere invisibili. Il dramma di queste persone ci ricorda che il fenomeno delle migrazioni non è un fenomeno locale, non riguarda separatamente Cipro, o il Medio Oriente, o il Nord Africa, o la Grecia, la Turchia, l’Italia, la Polonia o qualsiasi altra nazione del mondo. È un fenomeno globale, presente dovunque, che richiede risposte globali, e sul quale la comunità internazionale non può non interrogarsi. La storia ci insegna che erigere barriere non è mai la soluzione, perché le barriere rappresentano la paura, e cancellano ogni promessa di futuro, evidenziano la nostra mancanza di visione. E di questo, invece, abbiamo estremo bisogno, qui e nel resto del mondo. I Paesi del primo mondo non possono ignorare che anche il loro futuro dipende dalla risposta a questo grave problema; che il futuro dell’Europa si decide nel Mediterraneo, dove non passano solo le fonti di energia e di ricchezza, ma anche le risorse umane, persone e popolazioni, con le quali ci si dovrà confrontare e senza le quali non ci sarà sviluppo, né futuro. (…) La nostra Chiesa ovviamente non è in grado di influire su questi enormi processi, ma può dare ascolto alla voce di queste persone, dare loro un volto e un nome. È questa la nostra missione: ridare dignità e identità, ridare un nome, a persone che forse molti preferirebbero non vedere né incontrare, ma che esistono, sono reali e attendono la nostra risposta. Perché è il Signore stesso, attraverso di loro, a bussare alla nostra porta, a volgere verso di noi il Suo sguardo, a interpellare la nostra coscienza. Non possiamo ignorare. Non possiamo tacere».
La testimonianza dei migranti
A questo punto è stato letto in inglese un brano della lettera di san Paolo agli Efesini (2, 13-22) a cui è seguita una breve introduzione di Caritas Cipro – letta nuovamente in inglese – alla situazione dei migranti sull’isola.
Poi si sono avvicendati al microfono quattro migranti: Thamara (dallo Sri Lanka), Maccolins (dal Camerun), Rozh (dall’Iraq), Mariamie (dalla Repubblica Democratica del Congo). Ognuno, quasi a sviluppare un’unica testimonianza, ha messo in luce con efficacia alcuni degli aspetti dolorosi dell’esperienza di un essere umano migrante.
Papa Francesco ha preso la parola subito dopo, parlando con il cuore in mano, e partendo proprio dalla testimonianza resa dai quattro migranti.
Nell’ultima parte del suo discorso (che val la pena di riascoltare nel video che mettiamo a disposizione qui in coda) il Papa ha staccato gli occhi dai fogli e parlato a braccio: «Ascoltando voi, guardandovi in faccia, la memoria va oltre, va alle sofferenze. Voi siete arrivati qui: ma quanti dei vostri fratelli e delle vostre sorelle sono rimasti per strada? Quanti disperati iniziano il cammino in condizioni molto difficili, anche precarie, e non sono potuti arrivare? Possiamo parlare di questo mare che è diventato un grande cimitero. Guardando voi, guardo le sofferenze del cammino, tanti che sono stati rapiti, venduti, sfruttati…, ancora sono in cammino, non sappiamo dove».
«È la storia di una schiavitù – ha proseguito Bergoglio –, una schiavitù universale. Noi guardiamo cosa succede, e il peggio è che ci stiamo abituando a questo. “Ah, sì, oggi è affondato un barcone, lì… tanti dispersi…”. Ma guarda che questo abituarsi è una malattia grave, è una malattia molto grave e non c’è antibiotico per questa malattia! Dobbiamo andare contro questo vizio dell’abituarsi a leggere queste tragedie nei giornali o sentirli in altri media. Guardando voi, penso a tanti che sono dovuti tornare indietro perché li hanno respinti e sono finiti nei lager, veri lager, dove le donne sono vendute, gli uomini torturati, schiavizzati… Noi ci lamentiamo quando leggiamo le storie dei lager del secolo scorso, quelli dei nazisti, quelli di Stalin, ci lamentiamo quando vediamo questo e diciamo: “Ma come mai è successo questo?”. Fratelli e sorelle: sta succedendo oggi, nelle coste vicine! Posti di schiavitù. Ho guardato alcune testimonianze filmate di questo: posti di tortura, di vendita di gente. Questo lo dico perché è responsabilità mia aiutare ad aprire gli occhi. La migrazione forzata non è un’abitudine quasi turistica: per favore! E il peccato che abbiamo dentro ci spinge a pensarla così: “Mah, povera gente, povera gente!”. E con quel “povera gente” cancelliamo tutto. È la guerra di questo momento, è la sofferenza di fratelli e sorelle che noi non possiamo tacere. Coloro che hanno dato tutto quello che avevano per salire su un barcone, di notte, e poi… senza sapere se arriveranno… E poi, tanti respinti per finire nei lager, veri posti di confinamento e di tortura e di schiavitù».
«Che il Signore risvegli le nostre coscienze!»
«Questa – ha concluso Francesco – è la storia di questa civiltà sviluppata, che noi chiamiamo Occidente. E poi – scusatemi, ma vorrei dire quello che ho nel cuore, almeno per pregare l’uno per l’altro e fare qualcosa – poi, i fili spinati. Uno lo vedo qui: questa è una guerra di odio che divide un Paese. Ma i fili spinati, in altre parti dove ci sono, si mettono per non lasciare entrare il rifugiato, quello che viene a chiedere libertà, pane, aiuto, fratellanza, gioia, che sta fuggendo dall’odio e si trova davanti a un odio che si chiama filo spinato. Che il Signore risvegli la coscienza di tutti noi davanti a queste cose. E scusatemi se ho detto le cose come sono, ma non possiamo tacere e guardare dall’altra parte, in questa cultura dell’indifferenza».
In concomitanza con l’incontro i media hanno diffuso la notizia che 50 migranti saranno trasferiti da Cipro in Italia grazie alla Comunità di Sant’Egidio nel quadro dei corridoi umanitari, varati nel 2015 d’intesa con le autorità di governo italiane.
Il ministero dell’Interno cipriota ha espresso gratitudine per l’iniziativa della Santa Sede con un comunicato. Vi si legge tra l’altro: «Questa mossa simbolica del Vaticano giunge come un riconoscimento delle difficoltà che Cipro sta affrontando con il flusso sempre crescente di migranti che attraversano illegalmente la Linea Verde verso le aree sotto l’effettivo controllo della Repubblica di Cipro, in arrivo attraverso i territori occupati dalla Turchia, un Paese che strumentalizza sistematicamente la questione migratoria contro Cipro. È questa solidarietà proporzionata e sostanziale che chiediamo anche ai nostri partner europei. Ci auguriamo che l’iniziativa simbolica di Papa Francesco e della Santa Sede trasmetta un messaggio chiaro e contribuisca in questa direzione».