Non da oggi Cipro è meta di migranti. La stessa, piccola, comunità cattolica locale è figlia di flussi migratori, d’epoca remota o recente.
Prendiamo i maroniti. I primi sbarcano sull’isola verso la fine del VII secolo e precisamente nel 686, sotto il regno dell’imperatore d’Oriente Giustiniano II. Erano sospinti qui dall’incalzare degli arabi musulmani in Siria e Libano. Cipro divenne per loro un approdo anche nel secolo successivo. All’indomani dell’epoca bizantina
Una seconda e consistente ondata di maroniti immigra sul finire del XII secolo. Cipro all’epoca è un regno franco, che ha per sovrano il re di Gerusalemme, Guido di Lusignano, costretto a lasciare la Terra Santa dopo la definitiva sconfitta delle forze crociate ad opera dei musulmani. Il monarca agevola l’insediamento di maroniti per rafforzare la presenza cattolica sull’isola e rimpolpare le proprie truppe. Incoraggiati dalle agevolazioni prevista i maroniti arrivano ad essere circa 60mila. Nel 1224 popolano 62 villaggi, principalmente intorno alla catena montuosa Pentadactylos. All’inizio del Trecento sono 20mila in più, sparsi in 72 villaggi, molti dei quali fondati da loro stessi. È in quest’epoca che, nel 1316, viene istituito l’arcivescovado maronita di Cipro, con sede a Nicosia. È questo il momento di massima espansione della comunità maronita. Nuove difficoltà sorgono durante il controllo di Cipro da parte della Repubblica Serenissima, tra il 1489 e il 1570. Una combinazione di disastri naturali, incursioni di armati musulmani e scarsa benevolenza da parte dei veneziani inducono molti maroniti a partire, o a “convertirsi” al rito latino. In quest’arco di tempo i villaggi maroniti scendono da 72 a 33.
E siamo all’epoca ottomana che si prolungherà fino all’avvento dell’occupazione inglese dell’isola (1878-1960). La Sublime Porta riconosce solo la Chiesa ortodossa. Gli altri cristiani hanno vita grama. È questo il momento dei «linobambaci», cioè di quei cattolici, maroniti o latini, che per sottrarsi alle angherie e discriminazioni si mimetizzano, dichiarandosi musulmani pur senza esserlo in cuor loro. È così che le statistiche della comunità maronita fanno registrare un drastico assottigliamento: nel 1572 i maroniti sono circa 8mila (in 23 villaggi); nel 1686 sono solo 150 in appena otto villaggi. L’arcivescovo ripara in Libano, dove la sede viene trasferita nel 1673. La giurisdizione sui cattolici ciprioti passa ai francescani, tra il 1690 e il 1759, e al vescovo di Kyrenia tra il 1759 e il 1840. Solo nel 1841, grazie all’intervento del console di Francia, la giurisdizione torna all’arcivescovo maronita.
Sotto il governo britannico le minoranze guadagnano in libertà d’azione. Si assiste all’inurbamento di molti maroniti che dai villaggi convergono soprattutto verso Nicosia. Restano però vivi i legami con gli ultimi quattro villaggi maroniti sopravvissuti: Kormakitis, Karpashia, Asomatos e Ayia Marina. In quest’epoca i maroniti di Cipro riprendono a crescere di numero, seppure in proporzione ridotta rispetto al passato: se ne contano 830 al censimento del 1881. Sono 1.131 un decennio più tardi. Sono saliti a 2.752 al momento dell’indipendenza (1960), quando la comunità sceglie di riconoscersi nella componente greca – anziché turca – della nazione. Le tensioni tra greco e turco-ciprioti conducono nel 1974 all’intervento militare della Turchia che ha determinato quella spaccatura amministrativa e militare dell’isola che permane ancora oggi, sotto l’occhio vigile dei Caschi blu dell’Onu che formalmente controllano un’esigua striscia di territorio – la zona cuscinetto – che taglia in due il territorio in senso longitudinale. Tutti i quattro villaggi maroniti restano nella zona controllata dai turchi e alcuni degli abitanti optano per restare, nonostante le difficoltà.