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I difficili negoziati Usa-Iran

Fulvio Scaglione
9 dicembre 2021
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A Vienna proseguono le trattative tra Stati Uniti e Iran per tornare a un accordo dopo che Donald Trump, nel 2017, stracciò quello raggiunto dalla presidenza Obama nel 2015. Le pressioni di Israele e dei governi arabi sunniti sulla Casa Bianca di Biden.


Mentre l’attenzione si concentra su Stati Uniti e Russia e sulle prospettive di un confronto militare in Ucraina, proseguono a Vienna le trattative tra gli Usa e l’Iran sulla questione nucleare.

Riassumiamo brevemente. Nel 2015 il presidente Barack Obama firmò un accordo con cui gli Usa si impegnavano a togliere le sanzioni contro l’Iran e l’Iran a bloccare il processo di arricchimento dell’uranio, ovvero il processo che porta a un eventuale uso militare dello stesso uranio. Nel 2017, invece, Donald Trump diede unilaterale disdetta allo stesso accordo, dalla sua amministrazione considerato sbagliato e pericoloso. Per completare il quadro è doveroso ricordare che all’epoca della disdetta trumpiana, la Russia, la Ue e l’Onu, partecipi accanto agli Usa delle trattative, sostenevano senza esitare che l’accordo stava funzionando e che l’Iran stava rispettando i suoi obblighi. A pensarla come Trump c’erano solo Israele l’Arabia Saudita.

Tornare a un accordo ora è difficile. Anche perché da un lato le sanzioni varate da Trump (e tuttora in vigore) hanno inflitto danni pesantissimi all’economia iraniana, dall’altro il governo iraniano, come rappresaglia, ha dato forte impulso all’arricchimento dell’uranio, facendo così balenare la minaccia della bomba atomica.

Un fattore importante di questa complicata equazione è sempre stato giocato da Israele, che ha un forte ascendente sugli Usa in quanto alleato strategico in Medio Oriente e che da sempre considera l’Iran un pericolo mortale. Il governo Netanyahu fece pressioni enormi per convincere Donald Trump a fare ciò che fece. E il governo Bennett sta facendo altrettanto con Joe Biden, temendo che gli Usa abbiano fretta di tornare al vecchio accordo. La novità sta nel fatto che oggi, forse, gli Usa sono un po’ meno disposti a farsi condizionare. Corrono voci di dissidi tra i due governi, e di polemiche mai rese pubbliche ma abbastanza vivaci. Negli ultimi anni Israele si è molto impegnato per sabotare il programma nucleare iraniano in ogni sua forma, civile o militare che fosse. Ci sono stati omicidi mirati ai danni degli scienziati iraniani, sabotaggi, esplosioni, attacchi informatici come quello che ha paralizzato metà dei pozzi di petrolio, tutti attribuiti a Israele. E pare che gli Usa abbiano fatto notare appunto questo, e cioè che nessuna di queste azioni ha interrotto il programma iraniano, semmai ha accresciuto la volontà politica di completarlo.

Nello stesso tempo gli Usa non possono ignorare che a pensarla come Israele ci sono molti Paesi sunniti (l’Iran è sciita) del Medio Oriente che, in un modo o nell’altro, guardano con spavento alla prospettiva di un Iran dotato di bomba atomica. Il che trasforma la questione in un rebus di difficile soluzione. Gli Usa non possono semplicemente tornare all’accordo del 2015 mentre l’Iran non accetta altra ipotesi che questa. Nel 2015 era stato importante il contributo della Russia, che fu ringraziata anche da Obama. Oggi, a causa del diverso approccio ai problemi della Siria, anche i rapporti tra Iran e Russia non sono più quelli di allora. Chissà che l’idea buona non venga all’Europa.

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