Una panoplia di armi, travi di legno bruciate, decine di monete e una struttura fortificata ellenistica incendiata: sono le tracce di una battaglia avvenuta nella foresta di Lachish (Israele centro-meridionale), sessanta chilometri a sud di Gerusalemme, quasi 2.100 anni fa. Attualmente i resti vengono portati alla luce nell’ambito di uno scavo compiuto dall’Autorità israeliana per le antichità (Aia).
Secondo Saar Ganor, Vladik Lifshits e Ahinoam Montagu, che per conto dell’Aia dirigono i lavori, l’edificio di epoca ellenistica è «una prova tangibile di una battaglia tra gli asmonei e i seleucidi».
La famiglia ebrea dei Maccabei fondò la dinastia degli asmonei, al potere in Giudea fino al 40 a.C. circa. I seleucidi furono, a loro volta, una dinastia di epoca ellenistica che regnò su gran parte del Medio Oriente. Prendeva il nome da Seleuco I, uno dei diadochi, cioè uno dei successori di Alessandro Magno.
Una linea fortificata
Gli archeologi ritengono che l’edificio rinvenuto nella foresta di Lachish facesse parte di una linea fortificata eretta dai comandanti dell’esercito ellenistico per proteggere da un’offensiva asmonea Maresha, che era la più grande città ellenistica della regione (oggi patrimonio dell’Umanità secondo l’Unesco), e capitale dell’Idumea, una regione che si estendeva dal sud dei monti della Giudea fino al Negev settentrionale. Sulla sommità di un alto colle, il sito fortificato godeva strategicamente di una vista sull’antica strada che collegava la pianura costiera alla linea montuosa al centro del Paese.
Tuttavia, secondo le evidenze sul terreno, «le scoperte del sito mostrano che le difese seleucide non raggiunsero il loro scopo: l’edificio scavato subì un grave incendio e fu devastato dagli asmonei», sottolineano gli archeologi.
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L’edificio, di 15 metri quadrati, era un vero e proprio forte con mura esterne larghe almeno tre metri, costruite con grosse pietre. Secondo gli studiosi dell’Autorità per le antichità, le pareti avevano una inclinazione che impediva ai nemici di scalarle. Sette stanze costituivano l’interno del forte. I tramezzi sono stati conservati «a un’altezza eccezionale di circa due metri», affermano gli archeologi. Gli scavi hanno portato alla luce anche un vano scala non conservato, ma che dimostra l’esistenza di un secondo piano. L’edificio doveva essere alto circa cinque metri.
Il forte distrutto dal capo asmoneo Giovanni Ircano
Gli archeologi hanno anche portato alla luce centinaia di reperti, tra cui ceramiche, fionde, armi di ferro e decine di monete datate intorno alla fine del II secolo a.C. «La devastazione dell’edificio è probabilmente legata alla conquista della regione da parte del condottiero asmoneo Giovanni Ircano intorno al 112. a.C.», ritengono gli archeologi.
Le conquiste di Giovanni Ircano, descritte nel Libro dei Maccabei e nei resoconti dello storico Flavio Giuseppe, portarono all’espansione dello Stato asmoneo verso sud.
Lo zio di Giovanni Ircano, Giuda Maccabeo guidò le forze ebraiche durante la rivolta dei Maccabei (175-140 a.C.), un movimento di resistenza contro la politica di ellenizzazione praticata dai seleucidi nel II secolo a.C. La rivolta fu segnata da diverse battaglie che portarono alla vittoria dei Maccabei e alla costituzione della prima entità ebraica sovrana indipendente.
Ma nessun seleucide riconobbe l’autonomia ebraica, e furono compiuti diversi tentativi per riconquistare la Giudea, a volte con successo, a volte senza – come avvenne durante la battaglia di Lachish -, fino all’anno 64 aC. quando, notevolmente ridimensionato da inestricabili dispute di successione, il regno passò nelle mani dei romani. La distruzione della fortezza di Lachish è quindi una delle testimonianze delle battaglie che la dinastia dei Maccabei continuò a condurre anche dopo aver riconquistato l’indipendenza della Giudea nel II secolo a.C.
Sulla scia della storia di Hanukkah
Una delle cause scatenanti della rivolta dei Maccabei fu, nel 168 a.C., la consacrazione, da parte del sovrano seleucide Antioco IV, del tempio di Gerusalemme a Baalshamin, una divinità fenicia. Inoltre, i suoi decreti antiebraici che ordinavano di abolire la Torah e richiedevano di offrire maiali come olocausto, oltre a vietare la circoncisione. Nel 165 a.C., anche se le guerre sarebbero continuate per molti anni, i Maccabei riportarono una vittoria militare e si recarono al Tempio per purificare il luogo santo. Consacrarono un nuovo altare: da questo deriva la parola Hanukkah, che significa «dedicazione».
I Maccabei accendevano la menorah con l’unica fiala rimasta di olio consacrato. Si verificò allorea il miracolo che permise ai sacerdoti del Tempio di bruciare per otto giorni una quantità di olio normalmente appena sufficiente un giorno soltanto. Per questo motivo Hanukkah è anche chiamata la «festa delle luci».
In base a ciò, gli archeologi Ganor, Lifshits e Montagu hanno paragonato le scoperte di Lachish alla grande storia dei Maccabei, ritenendo che il sito degli scavi «fornisca prove tangibili delle storie di Hanukkah», festa che quest’anno sarà celebrata a partire dalla sera del 28 novembre.
Gli scavi sono stati effettuati nel quadro del progetto detto della Strada dei re di Giudea, attualmente in fase di sviluppo, in collaborazione con il Fondo nazionale ebraico, finanziato dal Ministero di Gerusalemme e del Patrimonio, e con l’aiuto degli studenti delle scuole superiori. Dopo gli scavi, l’edificio sarà sottoposto a restauro e aperto al pubblico.