Per aumentare l’occupazione femminile palestinese in pochi mesi sono nate 42 piccole imprese guidate da donne. Grazie a un progetto del Centro Ma’an, finanziato dalla Norvegia.
Fino a poco tempo fa Hala Abdel Karim, 36 anni, si svegliava alle 5 del mattino nel suo villaggio di Zbediat, nella Valle del Giordano, per andare a lavorare nelle fattorie degli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi. In cambio di turni estenuanti di 13-14 ore per raccogliere le piante aromatiche, pesarle, impacchettarle e stoccarle in magazzino, guadagnava l’equivalente di 30 euro al giorno.
Oggi Hala è la tra le 42 imprenditrici scelte dal Centro di sviluppo Ma’an per ricevere un prestito ed avviare la sua piccola impresa come parte del progetto No al lavoro negli insediamenti. Ha messo in piedi la sua fattoria di 65 ettari con una serra di piante aromatiche, principalmente basilico destinato ai mercati esteri, e grazie al finanziamento è riuscita a costruire per sé stessa, i suoi tre fratelli e altre 17 persone un’alternativa al lavoro nelle colonie, che per lei era l’unica possibilità di lavorare vista l’assenza di altre opzioni nei Territori palestinesi.
Tra serpenti e scorpioni
«Abbiamo le terre, ma non le risorse finanziarie per installare le serre e comprare le attrezzature per l’agricoltura: è così che il lavoro negli insediamenti diventa per molti di noi l’unica strada per sbarcare il lunario» racconta Hala al quotidiano Al Monitor. Le condizioni ambientali sono particolarmente dure: «La Valle del Giordano – spiega – è una delle aree più torride al mondo durante l’estate, visto che si trova sotto il livello del mare e che lavorare dentro le serre, realizzate con teloni di plastica, è come trovarsi nell’inferno: lo facciamo perché non c’è altro modo per mantenere i nostri figli. Durante i raccolti mi sono imbattuta in scorpioni e serpenti durante i raccolti e ho cercato in tutti i modi di evitarne i morsi e le punture. Lavoravamo senza alcuna assicurazione». Oggi Hala è felice e sollevata. Si spende nei suoi campi dall’alba al tramonto, insieme alle famiglie impiegate nella fattoria.
Il Centro di Sviluppo palestinese Ma’an ha lanciato il progetto Afaaq – destinato all’occupazione femminile attraverso imprenditrici donne sul versante palestinese della Valle del Giordano – con il sostegno finanziario della Norvegia e un orizzonte temporale di circa vent’anni.
Poche alternative
L’altissimo tasso di disoccupazione è la causa principale della ricerca di lavoro nelle colonie israeliane da parte dei palestinesi. Anche per questo sono caduti nel vuoto i ripetuti appelli del premier palestinese Mohammad Shtayyed che esorta a non lavorare nelle colonie.
Secondo le ultime statistiche ufficiali, il tasso di disoccupazione tra i palestinesi ha raggiunto quota 17 per cento in Cisgiordania e 45 per cento a Gaza nella seconda metà del 2021. In generale, nel mercato del lavoro palestinese la disoccupazione è al 42 per cento tra le donne e al 23 per cento tra gli uomini. Secondo un rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), il numero di palestinesi occupati in Israele e insediamenti è cresciuto sensibilmente negli anni recenti, raggiungendo quota 133mila prima della pandemia e riducendosi di appena il 6 per cento durante i lockdown causati dal Covid-19.