Di recente questa tradizionale manifestazione di identità religiosa e di culto popolare della minoranza armena in Iran è stata proclamata dall’Unesco bene culturale patrimonio di tutta l’umanità.
Da più di nove secoli, gli armeni della regione che oggi corrisponde al Nord-Ovest dell’Iran organizzano ogni estate un pellegrinaggio per raggiungere le mura antiche del monastero di San Taddeo, un luogo “magico” e sperduto tra le montagne della Repubblica islamica e il confine turco: nei mesi scorsi questa manifestazione di identità religiosa e di culto popolare è stata proclamata dall’Unesco bene culturale patrimonio di tutta l’umanità. Ne è felice la minoranza armena iraniana – 150–200 mila fedeli su una popolazione di circa 85 milioni di persone – che vede assurgere a notorietà internazionale il più importante evento del suo calendario liturgico e sociale. «È la nostra storia, sono le nostre radici, è un momento di coesione della nostra comunità, un’occasione per riunire le famiglie e rivedersi con i tanti armeni che arrivano appositamente dall’estero», spiega in un’intervista al sito Unesco Krikor Chiftjian il vescovo armeno di Tabriz, la diocesi iraniana da cui dipende il monastero.
D’altra parte il riconoscimento non può dispiacere agli ayatollah di Teheran che si vantano da sempre di tutelare, con l’articolo 13 della costituzione risalente alla rivoluzione del 1979, le principali minoranze religiose della tradizione persiana: zoroastriani, ebrei, cristiani di diverse denominazioni. A dire la verità non è che la situazione sia solo rose e fiori: in Iran manca una sostanziale libertà religiosa, in quanto è proibito ai musulmani convertirsi pubblicamente ad altre fedi e, in aggiunta, alcuni gruppi religiosi, come ad esempio i Baha’i, considerati dal regime una setta eretica sciita, sono apertamente perseguitati. Bisogna tuttavia dire che, grazie alla stretta alleanza politica e regionale tra Iran e Armenia, la comunità di iraniani armeni gode di particolari libertà e diritti, tra cui quello invidiato da molti, di poter produrre vino per il proprio uso interno.
Il monastero di San Taddeo, insieme al monastero di Santo Stefano vicino al confine con l’Azerbaigian, erano già stati dichiarati patrimonio dell’umanità, per la loro straordinaria bellezza, già nel 2008. Ora San Taddeo, conosciuto in Iran come Qara Kelisa, la pietra nera, per via del colore della parte di facciata più antica, ha acquisito un doppio riconoscimento grazie alla tradizione secolare dei pellegrinaggi.
Qui, infatti, tutto si trasforma per tre giorni a luglio, quando da Tabriz, dove gli armeni iraniani si danno un primo appuntamento, partono carovane di centinaia di macchine stracariche di famiglie e vettovaglie per raggiungere la tomba di Giuda Taddeo, uno dei dodici apostoli di Gesù, considerato il primo evangelizzatore del popolo armeno e martirizzato nel primo secolo dell’era cristiana.
Attorno al monastero si forma a corona una tendopoli, migliaia di persone strette le une alle altre, per affidarsi al loro santo e mantenere vive le tradizioni, i canti, le danze, l’artigianato, il cibo di un popolo, e soprattutto di quella parte di popolo che è rimasta in Iran. Il complesso sacro, circondato da possenti mura, risalirebbe al VI secolo dopo Cristo. Quasi mimetizzato tra le colline brulle e montagnose, il monastero appare dal nulla con le sue cupole appuntite e ottagonali, le finestre lunghe e strette, la sua anima armena arricchita da influssi persiani e bizantini.
Il pellegrinaggio a San Taddeo è particolare anche perché, insieme al primo apostolo, i fedeli celebrano da sempre, con eguale entusiasmo e venerazione, la prima armena martire cristiana, una principessa di nome Santukhd, che – dice la tradizione – sfidò il proprio padre e sovrano per seguire gli insegnamenti di Cristo e per questo fu da lui uccisa. La morte della principessa – ne sono convinti da queste parti – aprì la strada alla conversione in massa dell’Armenia.
Per tre giorni i canti baritonali delle liturgie sacre si mescolano ai balli popolari, i digiuni ascetici di alcuni alle grandi tavolate di molti, i battesimi alle fiere di artigianato, le processioni alle preghiere solitarie davanti alle fiamme delle candele che illuminano l’oscurità. Alla grande croce di legno sull’altare, ciascuno appende le proprie suppliche, prima che il vescovo di Tabriz celebri la messa finale ed esponga alle carezze e ai baci della folla la reliquia di san Taddeo, la mano destra in atto benedicente, ricoperta di metallo prezioso. I rintocchi delle campane si susseguono a ricordare che l’Iran non è solo un Paese di moschee e minareti.