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Netflix accende i riflettori sul cinema palestinese

Terrasanta.net
30 ottobre 2021
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Netflix accende i riflettori sul cinema palestinese

A partire da metà ottobre i 200 milioni di abbonati alla piattaforma Netflix in tutto il mondo hanno a disposizione una selezione di film e documentari palestinesi: 32 opere realizzate nell'arco degli ultimi vent'anni.


(c.l.) – Ave Maria, un cortometraggio sull’incontro casuale tra cinque suore cattoliche e una famiglia di coloni israeliani prima dell’inizio dello Shabbat. Habibi, film sull’amore proibito di due giovani di Gaza. Oppure, Children of Shatila («I bambini di Chatila»), film documentario che segue Farah e Issa, due bimbi del campo profughi palestinese di Beirut. Sono solo tre delle 32 «storie palestinesi» che Netflix, la nota piattaforma di contenuti video, ha deciso di mettere via via online, a partire dallo 14 ottobre.

La società statunitense ha annunciato il lancio di questa categoria dedicata alla vita palestinese come un «omaggio alla creatività e alla passione dell’industria cinematografica araba». Tutti i film e i documentari sono stati infatti realizzati negli ultimi due decenni da palestinesi oppure narrano storie palestinesi. Netflix – che nel 2020 aveva più di 200 milioni di abbonati paganti – aggiunge che la maggior parte dei titoli della sua nuova raccolta sarà mostrata in tutto il mondo.

L’esperienza palestinese al centro dei racconti

Come ricorda L’Orient-Le Jour, «mentre le produzioni israeliane di successo, come Fauda o Shtisel, erano disponibili da diversi anni sulla piattaforma, i film palestinesi erano stati fino ad allora assenti o scarsamente quotati, e quindi difficilmente accessibili».

«Questi film sono stati realizzati molto tempo fa, ma il fatto che un servizio di streaming come Netflix li presenti per quello che sono – palestinesi appunto – attribuisce loro una visibilità monumentale», ha rimarcato sul quotidiano libanese, Livia Alexander, direttrice del programma Arti visive e Storia dell’arte al Dipartimento di Arte e Design dell’Università statale Montclair (New Jersey, Stati Uniti).

La raccolta di soggetti mira a presentare «la profondità e l’ampiezza dell’esperienza palestinese, esplorando la vita, i sogni, le famiglie, le amicizie e l’amore delle persone», rimarca Netflix. Per «esperienza palestinese» intendiamo qui la vita in Cisgiordania e a Gaza, ma anche quella in esilio, nei campi profughi. I toni variano: dalla commedia si spazia fino alla gioia, all’orgoglio, ai vicoli ciechi, al dramma e alle lacrime.

«Anche se queste storie sono tipicamente e autenticamente arabe, le tematiche sono essenzialmente umane e troveranno eco presso il pubblico di tutto il mondo. Questa è la vera bellezza della narrazione», dice Nuha El Tayeb, direttrice del settore acquisizioni di contenuti per Netflix in Turchia, Medio Oriente e Nord Africa.

Registi in gran parte cristiani

La collezione presenta film e documentari firmati per lo più da registi già affermati. Ad esempio, il cortometraggio Ave Maria, diretto nel 2015 dal palestinese cristiano – nato a Nazaret e con cittadinanza israeliana – Basil Khalil, è stato candidato all’Oscar. Habibi, diretto da Susan Youssef, americana nata da padre libanese e madre siriana, ha ricevuto il premio per il miglior lungometraggio arabo al Dubai Film Festival 2011.

Like Twenty Impossibles (2003), film dell’americana-palestinese Anne-Marie Jacir, che discende da una delle più antiche famiglie cristiane di Betlemme, è stato il primo cortometraggio del mondo arabo proiettato al Festival di Cannes. Il film racconta le tribolazioni di un gruppo di artisti palestinesi in viaggio verso Gerusalemme. 3000 Nights, il lungometraggio (del 2003) di Mai Masri, nata da madre americana e padre membro di una nota famiglia musulmana palestinese di Nablus – e regista del documentario The Children of Shatila (1998) – ha vinto il premio della giuria all’International Film Festival e il Forum sui diritti umani 2016.

Nella selezione di Netflix troviamo anche Divine Intervention, opera del regista palestinese cristiano (con cittadinanza israeliana) Elia Suleiman, che nel 2002 ha voluto rendere omaggio così alla sua città natale: Nazaret. Il film ha vinto due premi e una nomination al Festival di Cannes. Un cenno merita anche The Crossing, del regista palestinese Ameen Nayfeh, che racconta, nel 2017, la sua lotta per attraversare un checkpoint israeliano e visitare il nonno morente. «Facciamo film perché vogliamo che le nostre storie viaggino, vogliamo che le persone ci conoscano», dichiarava Ameen Nayfeh a Reuters. La selezione comprende anche cinque documentari del regista danese di origini palestinesi Mahdi Fleifel, cresciuto in un campo profughi in Libano, e il documentario di Raed Andoni Ghost Hunting (2017), sul principale centro di interrogatorio israeliano.

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