Volatilizzati. Una notte, d’un tratto e senza alcun preavviso, tutti i palestinesi d’Israele e dei Territori scompaiono. Nelle loro case le tavole ancora apparecchiate, le televisioni accese. «Niente indicava che i proprietari avessero intenzione di andarsene».
Il mattino dopo, Israele è nel caos: «Non ti nascondo che quel che sta accadendo nel Paese è un finimondo, tohu va-bohu nel vero senso della parola», scrive Ariel, giornalista, a un collega negli Stati Uniti.
Gli autobus tardano ad arrivare, le merci ad essere consegnate. Si avverte la mancanza di lavoratori nei campi, di medici e infermieri negli ospedali, di personale nei settori più disparati. Nelle carceri si teme un’evasione di massa. Non si parla d’altro. Per strada, sui giornali, in televisione, alla radio.
Il Paese scivola in uno stato di attesa e allerta. Le reazioni sono diverse: perplessità, indifferenza, sconcerto, tensione, panico. Per alcuni si tratta dell’anticipazione di un attacco terroristico su vasta scala. Per altri di un semplice sciopero generale. Per i coloni e per una parte della popolazione, di una benedizione, un miracolo. Altri ancora invece paventano una nuova pulizia etnica messa in atto dall’esercito.
Mentre le strade si svuotano e sul Paese incombe un enorme punto interrogativo – che accompagnerà tutto il racconto – si alternano i discorsi rassicuranti del governo e le dichiarazioni da parte dei vertici dell’esercito. Pian piano l’intera società israeliana s’interroga sul proprio rapporto con l’«altro».
S’interrompono bruscamente, di necessità, anche alcune amicizie sincere, come quella tra Ariel e il vicino di casa palestinese Alaa. Attraverso le pagine del diario di Alaa – recuperato nel tentativo di capirci qualcosa – Ariel ripercorre con il lettore le vicende familiari e la tenera nostalgia che lega l’amico alla figura della nonna e alla città di Jaffa.
Il romanzo della giornalista e scrittrice palestinese Ibtisan Azem, pubblicato in primavera dall’editore indipendente Hopefulmonster nella collana La stanza del mondo diretta da Paola Caridi, si rivela – dopo le tensioni e gli scontri tra arabi ed ebrei di questo 2021 all’interno delle città israeliane – quanto mai attuale.
Il libro affronta da un’angolatura originale e con un ritmo coinvolgente temi dolorosi, interconnessi e stratificati. La memoria della Nakba (in arabo la “catastrofe” del 1948, anno di fondazione dello Stato d’Israele) con il conseguente dramma dei profughi, il senso di abbandono e la rabbia dei palestinesi sopravvissuti, la convivenza quotidiana fianco a fianco con l’«altro», il nemico. E poi il faticoso tentativo di guardare al futuro senza cancellare il passato, il difficile vissuto degli ebrei, un diritto e un amore viscerale verso una terra, sanguinosamente contesa tra due popoli.
«Sai cosa significa passare la vita ad aspettare?», chiede a un certo punto, nel ricordo, Yusif all’amico ebreo David. «Aspettare che tornino quelli che sono partiti? Per tutta la vita aspetti. Per tutta la vita parli del passato. Ma intanto il presente cresce e ti divora. Quelli che sono rimasti, un intero popolo, sembrano matti quando parlano di ciò che è stato. Come se non fosse mai stato, o fosse un mondo esistito soltanto nella loro immaginazione. Jaffa, Jaffa, è un nome che mi fa male e che maledico tutti i giorni, perché ancora lo amo».
Ibtisam Azem
Il libro della scomparsa
hopefulmonster editore, 2021
pp. 184 – 23,00 euro