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Escono nomi mediorientali dal vaso di Pandora

Terrasanta.net
8 ottobre 2021
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Escono nomi mediorientali dal vaso di Pandora
346 società del Libano compaiono nell'inchiesta Pandora papers sui paradisi fiscali.

Nello scandalo dei Pandora papers, la nuova inchiesta giornalistica su migliaia di società che in tutto il mondo evadono il fisco nei paradisi fiscali, sono coinvolte figure di primo piano anche del Medio Oriente (e di Paesi al collasso).


Dall’enorme mole di documenti raccolti nell’inchiesta giornalistica chiamata Pandora Papers, svelata il 3 ottobre, stanno emergendo i nomi di personaggi celebri che hanno collocato i propri patrimoni al riparo dal fisco, nei circuiti dell’economia offshore. L’inchiesta è stata realizzata da un consorzio investigativo di 600 giornalisti che hanno raccolto informazioni di diverse società di servizi finanziari con base nei paradisi fiscali e rivela nomi e operazioni di centinaia tra uomini di Stato e politici, personaggi sportivi e artisti di ogni parte del mondo. Compreso il Medio Oriente.

Spicca tra questi il nome del re di Giordania, Abdallah II. Dai documenti risulta che il sovrano hashemita ha creato una rete di società extraterritoriali, «nascondendo» un impero immobiliare che va dalla California a Washington, a Londra. Dato che la Giordania sta attraversando una fase economicamente molto difficile e riceve ingenti aiuti internazionali, anche a sostegno dei molti rifugiati presenti nel Paese e per attenuare l’impatto della pandemia, le rivelazioni sulle ricchezze di re Abdallah non sono passate inosservate. La Casa reale ha dichiarato che le proprietà di lusso sono private e che non intaccano il bilancio pubblico del Paese. Negli elenchi dei Pandora Papers è in compagnia di altri regnanti del Golfo: dall’emiro del Qatar, Tamim Al Thani, a Mohammed Al Maktoum, emiro di Dubai, oltre all’ex primo ministro del Bahrein, Khalifa Al Khalifa.

Più di 500 nomi israeliani

In Israele i riflettori sono puntati su Nir Barkat, il più ricco politico del parlamento israeliano (partito Likud), già sindaco per dieci anni di Gerusalemme fino al 2018. Dai documenti emerge che Barkat, una volta eletto membro della Knesset nel 2019, avrebbe dovuto vendere o cedere le proprietà a una persona estranea alla sua famiglia, secondo il codice etico del parlamento. Invece, i documenti rivelano che trasferì le azioni di diverse società al fratello Eli, oltre a svelare che è proprietario di azioni di una società non registrata in Israele, ma in un paradiso fiscale. Barkat ha dichiarato di essere vittima di attacchi politici e di avere sempre pagato le imposte dovute nel suo Paese.

Significativo il coinvolgimento nello scandalo anche di un’organizzazione dell’estrema destra religiosa, Ateret Cohanim, impegnata nella colonizzazione ebraica della parte orientale e palestinese di Gerusalemme. Risulta che, attraverso società di comodo registrate nelle Isole Vergini, ha acquistato proprietà immobiliari nei quartieri dove i palestinesi sotto occupazione non accettano quasi mai di trasferire ad israeliani le loro proprietà.

Scandalo libanese

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, globalmente la perdita fiscale causata da questi «paradisi» va dai 500 ai 600 miliardi di dollari all’anno. Una cifra enorme, sottratta ai sistemi fiscali di numerosi Paesi. Il caso più eclatante è quello del Libano, che, come Stato, sta affondando nei debiti, ha dichiarato default nel marzo 2020, ha visto crollare il valore della sua moneta e la maggior parte della popolazione finire sotto la soglia di povertà.

Risulta dai Pandora Papers che ben 346 società libanesi hanno occultato fondi su conti offshore, attraverso il Trident Trust, specializzato nelle domiciliazioni di società all’estero. Si tratta in assoluto del Paese al mondo con il maggior numero di imprese coinvolte. Sono perciò libanesi una parte considerevole degli 11 miliardi di dollari nascosti in paradisi fiscali come Cipro, le Seychelles e isole dei Caraibi.

Il neo primo ministro, Najib Mikati (musulmano sunnita), l’uomo più ricco del Libano grazie a società di telecomunicazioni, in carica da meno di un mese, è tra i personaggi coinvolti, insieme a Riad Salameh (cristiano maronita), da 28 anni a capo della Banca centrale libanese, all’ex primo ministro Hassane Diab e al banchiere Marwan Kheireddine. La società libanese è segnata più di altre da forti diseguaglianze: lo conferma un rapporto dell’Onu, secondo cui i miliardari detengono la stessa ricchezza del 62 per cento della popolazione. I primi ministri degli ultimi anni hanno fatto tutti parte di questa élite e l’immagine della classe dirigente del Paese dei cedri, già del tutto screditata, appare così ancora di più a pezzi. (f.p.)

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