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Venezia dà voce ai mizrahim, israeliani discriminati

Luca Balduzzi
8 settembre 2021
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Venezia dà voce ai <i>mizrahim</i>, israeliani discriminati
Una scena del documentario sui mizrahim in Israele.

«Siamo considerati feccia, dei veri e propri paria!». Lo confessano con amarezza nel documentario Mizrahim, les oubliés de la terre promise alcuni ebrei israeliani immigrati da Paesi arabi. Un viaggio dentro discriminazioni dure a morire.


«In Israele non esiste l’uguaglianza». È amaro lo sfogo degli ebrei che provengono dai Paesi musulmani a cui vuole dare voce il documentario Mizrahim, les oubliés de la terre promise (letteralmente, Mizrahim, i dimenticati della Terra promessa) della regista franco-israeliana Michale Boganim, presentato in concorso alle Giornate degli autori al Lido di Venezia.

Il viaggio della regista, nata a Haifa ma di origini marocchine, tocca prima di tutto le cosiddette «città di sviluppo», in cui sono state trasferite, in qualche caso dopo un passaggio preliminare attraverso i campi di transito, le famiglie ebree immigrate in Israele dal Nord Africa (Algeria o Marocco, per fare solo due esempi) o dallo Yemen durante gli anni Sessanta. Parliamo di città come Ashdod, Ashkelon, Be’er Sheva, Dimona, Netivot, Sderot o Yeruham, centri urbani atti a colonizzare e popolare il deserto del Neghev. Ma la situazione non è molto differente ad Eliakim, nel Nord, o in alcuni quartieri di città come Hadera e Lod.

«Riserve, ghetti – non usa mezzi termini la terza generazione di mizrahim –. Non ci è mai stato consentito neppure di scegliere quale scuola frequentare o quale lavoro fare. La sola opzione possibile, già stabilita dal sistema, era e rimane la scuola professionale. Perché nel Paese c’è bisogno di lavoratori a basso costo. E un Paese che fonda la propria identità su quella degli altri è obbligato a mantenere la situazione così com’è».

Insomma, «siamo ansim, feccia, – è il pensiero comune degli intervistati, fra cui compaiono i cantanti Neta Elkayam e Amit Chai Cohen, che portano avanti le rivendicazioni dei mizrahim anche attraverso i loro brani –. Siamo dei paria. Gli stereotipi ci vogliono tutti stupidi, teppisti, violenti e sciovinisti. E questa è anche la nostra rappresentazione nelle pubblicità. Siamo la nuova generazione di schiavi. Ci hanno rubato i nostri sogni. E questa discriminazione viene sistematicamente nascosta e negata».

Non va meglio, pare, a Gerusalemme. Si pensi che è proprio nel quartiere di Musrara a ridosso della città vecchia che Charles Boganim, il padre della regista, fonda assieme ad altri attivisti il movimento ispirato alle Pantere nere che negli anni Settanta manifestava per i diritti dei mizrahim, che il primo ministro dell’epoca Golda Meir definì pubblicamente come «non molto carini».

«Il film è un viaggio intimista in quelle città israeliane di frontiera del tutto sconosciute e lontane dai soliti stereotipi – spiega Michale Boganim –. È anche un viaggio nel tempo, all’epoca della costruzione dello Stato di Israele, quando la ripartizione geografica tra le “città dello sviluppo” e il centro ha contribuito a creare un divario sociale tra mizrahim e ashkenazim».

Un avvocato ricorda l’episodio, balzato alle cronache, della discriminazione all’interno della scuola femminile religiosa di Immanuel, in cui alle ragazze mizrahi venne chiesto di indossare divise differenti da quelle delle altre allieve e di fare l’intervallo in orari separati. Come se ciò non bastasse, un muro divideva la scuola a metà. Un fatto di fronte al quale il ministro dell’Istruzione dell’epoca si domandò, semplicemente: «Dove sta il problema?».


Mizrahim, les oubliés de la terre promise
regia e sceneggiatura: Michale Boganim
paese: Francia, Israele
anno: 2021
produttore: Marie Balducchi
produzione: Ex Nihilo
co-produzioni: Lama Films, Bonne Nouvelle, Studio Orlando
fotografia: Nathalie Durand
montaggio: Pierre Deschamps
musica: Joachim Mimouni

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