Va consolidandosi la presa delle milizie jihadiste sulla provincia di Idlib in Siria. Ne prendono atto le varie tribù arabe, che avviano qualche forma strutturata di collaborazione con chi controlla e amministra il territorio.
Abbiamo parlato da poco, qui in Babylon, dell’entusiasmo per il ritorno dei talebani a Kabul mostrato a Idlib, in Siria, dai jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), che di fatto controllano la città e la provincia con l’appoggio della Turchia. Vale però la pena di riprendere l’argomento, perché i suoi sviluppi dicono molto delle tensioni interne e delle prospettive dell’islamismo armato.
Succede questo: la tribù araba Bakara (29 clan sparsi tra Idlib, Aleppo, Deir ez-Zor, Raqqa, Hama, Homs) ha deciso di formare una shura, alla cui presidenza è stato eletto lo sheikh Youssef Harbash. All’incontro che ha sancito la mossa, svoltosi a Idlib, hanno partecipato oltre 5 mila persone. Ma, soprattutto, erano presenti i rappresentanti del cosiddetto governo di salvezza nazionale dominato da Hts. Tutto questo è interessante non solo perché riguarda una grande tribù come i Bakara, che da sempre forniscono combattenti per la causa anti-Assad (anche se esiste pure un’assadiana Brigata Baqir, formata da membri bakara) ma perché riguarda in generale le tribù dell’area. Tutte, di fronte a una situazione che sembra consolidare lo status quo (e quindi consacrare il potere dei jihadisti nella provincia di Idlib), si stanno attrezzando per dialogare con il potere di Hts: formano consigli ed eleggono rappresentanti autorizzati a trattare per difendere gli interessi della tribù e dei clan.
È uno sviluppo di tipo «afghano» che Hts vede di buon occhio. Intanto perché offre interlocutori precisi, riconoscibili. Poi perché stabilizza la situazione, visto che le diverse shure si incaricano di controllare e canalizzare le richieste che vengono dal basso. E infine perché va proprio nel senso dell’ambizione dei qaedisti di Hts che, dopo lunghi anni di nomadismo come movimento del terrorismo e della guerriglia, tendono ora a radicarsi nel territorio, aspirando a rappresentarlo e governarlo. Proprio come i talebani in Afghanistan.
Vedremo quali saranno le conseguenze. Certo è che si allarga e si approfondisce, nell’islamismo jihadista, lo iato tra i sostenitori dell’emirato e quelli del califfato. I primi (come appunto i talebani e i miliziani di Hayat Tahrir al-Sham) puntano al potere esclusivo su un territorio e sono poco interessati a quanto accade oltre i confini più o meno ristretti del loro insediamento. Gli altri (l’Isis, tipicamente) guardano alla humma, la comunità globale dei musulmani, e al dar al-harb, la «terra della guerra», i luoghi occupati dagli infedeli che bisogna liberare. Gli attentati del 26 agosto scorso all’aeroporto di Kabul, firmati dallo Stato islamico-Khorasan, ci hanno mostrato quanto questo scontro intestino possa essere crudele.