Nei festival cinematografici non mancano mai film dedicati alla questione israelo-palestinese. I registi, in gran parte, non riescono però a centrare l’obiettivo di raccontare una storia o prendere una posizione originale o, addirittura, di trasmettere un qualsiasi messaggio veramente utile per arricchire il dibattito.
Colpisce, quindi, scoprire un film come Amira del regista egiziano Mohamed Diab, in concorso nella sezione Orizzonti della settantottesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia in corso in questi giorni al Lido.
Amira è figlia del combattente palestinese Nawar. È stata concepita grazie allo sperma dell’uomo trafugato dalla prigione in cui è rinchiuso con l’accusa di terrorismo. Quando i suoi genitori cercano di avere un secondo figlio, però, il test del Dna rivela che l’uomo che lei considera un eroe è sterile dalla nascita.
La verità diventa ancora più difficile da scoprire quando il medico che ha fatto nascere Amira conferma che sua madre, in un primo momento additata come traditrice – e disposta a mentire pur di proteggere la figlia – era ancora vergine al momento dell’inseminazione artificiale. La sola possibilità che rimane, ovvero che Amira possa essere stata concepita con il seme della guardia israeliana pagata per effettuare lo scambio, sconvolge completamente la vita e l’identità stessa della ragazza, che arriva a essere marchiata come nemica del suo popolo.
Il film prende ispirazione dal contrabbando di sperma nelle carceri israeliane che – come leggiamo nei titoli di coda – dal 2012 ad oggi ha portato alla nascita di più di cento bambini palestinesi, riconosciuti come legittimi dalle famiglie che li hanno cresciuti.
«Il fatto che nel luogo in assoluto più sacro e diviso della Terra esista una qualche forma di “immacolata concezione”, è tanto affascinante quanto surreale – commenta il regista con una discutibile iperbole –. Amira rappresenta un’esplorazione microcosmica della divisione e della xenofobia che regnano nel mondo odierno. Nell’atto di dipanare l’identità della nostra eroina, il film solleva la questione se l’odio nasca spontaneo o venga coltivato».
Amira
regia: Mohamed Diab
interpreti: Saba Mubarak, Ali Suliman, Tara Abboud, Waleed Zuaiter, Ziad Bakri, Suhaib Nashwan, Reem Talhami
lingua: arabo, ebraico
sceneggiatura: Mohamed Diab, Khaled Diab, Sherin Diab
produzione: Film Clinic (Mohamed Hefzy, Daniel Ziskind), Agora Audiovisuals (Mona Abdel Wahab), Acamedia Pictures (Moez Masoud), Taher Media Production, The Imaginarium Films, Hany Abu-Assad, Amira Diab, Sarah Gohar
fotografia: Ahmed Gabr
scenografia: Nael Kanj
costumi: Hamada Attalah
suono: Julien Perez
montaggio: Ahmed Hafez
musica: Khaled Dagher